MESSINA (gi.gi.).- Pasolini e Sciascia forse non si sono mai incontrati in vita, ma intellettualmente l’uno era l’eco dell’altro e viceversa. Uniti in quella lotta civile nei confronti del Potere, del Palazzo, dei Segreti Occulti, verso tutto ciò che nel nostro Paese non aveva un nome chiaro, una verità netta, una cristallina limpidezza. L’articolo delle lucciole di Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera il 1° gennaio 1975 (molti di questi scritti, come è noto, formeranno gli Scritti corsari editi da Garzanti) daranno lo spunto a Sciascia d’iniziare il suo L’affaire Moro proprio con quell’assenza di lucciole, di cannileddi di picuraru (candeline di pecoraio) – una metafora per dire che ogni sistema corruttivo diffonde tenebre e povertà – e che riporta in epigrafe una scritta di Elias Canetti, tratta dal suo La provincia dell’uomo, che suona così : “La frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto “al momento giusto”, che dà lo spunto a Marco Baliani d’iniziare La notte delle lucciole. Uno spettacolo scritto a quattro mani oltre che da Baliani anche da Roberto Andò che firma un’asciutta drammaturgia e regia e che si consiglia la visione a tutte le giovani generazioni. Per ricordare e per far tesoro nel prosieguo della loro (della nostra) vita che per far risplendere le lucciole, che pare siano scomparse non solo dalle campagne ma dalla testa di tanti di noi, bisogna studiare, cercare di capire chi ci sta intorno, rimboccarsi le maniche e cercare di prendere parte alla rinascita di una nuova società più giusta, più colta e più libera. E non è un caso che Andò ambienta lo spettacolo in un’aula scolastica con una cinquina di allievi che accatastano mattoni di zolfo sul proscenio e un bidello fra loro, somigliante a Pirandello quello di Coco Leonardi, che s’aggira freneticamente in sala e fra quei lignei banchi anni ’50 d’una qualsiasi Classe morta di Kantor. Un’aula che allude chiaramente al nostro parlamento dove i partiti sono i veri gruppi di potere e legiferano a proprio piacimento. Baliani-Sciascia è un superbo narratore, in grado di dare i brividi al pari d’un Marco Paolini o d’un Ascanio Celestini, con le parole che sgorgano come pietre di Regalpetra e che non manca di confessare d’essere stato nei confronti di Pasolini “alquanto razzista della sua omosessualità” e di ricordare che la sua tragica morte in quell’infame spiazzo sabbioso di Ostia è stata “una tragica testimonianza di verità”. Applausi calorosi alla Sala Laudamo dove lo spettacolo, da non perdere, replicherà sino a domenica pomeriggio.- Gigi Giacobbe