Un adattamento fedele, ma complesso. Concordano i due registi nel descrivere il risultato della trasposizione da romanzo a opera teatrale. «L’autore è Matteo Collura – ricorda Marchetti (nella foto con Pino Caruso) – ma poi siamo intervenuti con tante osservazioni e modifiche dettate dalle esigenze drammaturgiche.» Quel che conta però, continua Marchetti, è che «viene mantenuta l’atmosfera, la poetica, le parole originali». Le variazioni più evidenti riguardano la trasformazione del protagonista, impersonato da Pino Caruso, da pittore a scrittore. «Avendo a disposizione un attore come Caruso – ha spiegato Catalano, coregista e nipote di Sciascia -, che tante cose ha in comune con l’uomo Sciascia, dalla sicilianità all’impegno politico, ci è venuto spontaneo avvicinare il personaggio all’autore. Non che sia Sciascia ad entrare in scena, ma il parallelo è molto forte.»
«Anche se quando fu scritto il romanzo – ancora Marchetti -, si videro al suo interno riferimenti alla DC e persino ad Aldo Moro, oggi osserviamo che l’interpretazione del potere che da esso emerge è applicabile alla nostra esperienza. Non è una visione pessimistica, ma realistica: lo stato, che nello spettacolo è rappresentato dal magistrato, il mio personaggio, è sconfitto da altre logiche e altri interessi. La scelta di un testo così scomodo è legata alla combinazione, ma anche alla mia predilezione per lo scrittore siciliano, tra i miei autori preferiti, insieme a Buzzati e Zavattini. La versione teatrale, rispetto al romanzo, se per un verso non permette, per sua natura, di riprendere il testo per meditarlo, per un altro accentua e rende più efficace l’impatto emotivo immediato delle parole dello scrittore.»
«E’ chiaro che la trasposizione qualcosa toglie, qualcosa aggiunge – ha chiarito Catalano -, ma lo spirito dell’opera è intatto. Mio nonno scrisse il romanzo nel 1974, appena prima della sua esperienza parlamentare. Quando quest’ultima finì, disse che aveva avuto la sensazione che il potere è altrove. Anche oggi è così, il potere è ipocrita, maschera guerre con missioni di pace, per esempio, o ricatta i paesi poveri con gli aiuti umanitari. Non è un tema italiano, ma mondiale.»
Catalano, alla prima produzione messinese, ha detto di avere trovato in riva allo Stretto un clima di grande collaborazione a tutti i livelli. Da poco nominato alla direzione artistica del teatro di Regalbuto, ha rivelato che il suo prossimo progetto riguarderà non il teatro, ma un documentario sul genere cinematografico del western all’italiana, «un genere che ha saputo parlare alla gente, come oggi il cinema italiano non sa fare, e che non a caso è stato, e in alcuni casi è ancora, il portabandiera del nostro cinema nel mondo».
Si debutta stasera alle 21,00. Lo spettacolo verrà replicato fino al 18, domani e domenica alle 17,30, venerdì e sabato alle 21,00.
(Photogallery di Dino Sturiale)