La sfida tra Polifemo e Nessuno a colpi di cunti, battute salaci, perfide astuzie: la parola riequilibra la differenza di forza, una risata in più diviene fatale. Nella lunga peregrinazione seguita all’esaurirsi della guerra di Troia, Odisseo sbarca in Sicilia tra le mattanze dei tonni, le orazioni contro il malocchio e i richiami erotici dei soliti galli di brancatiana memoria, sfondo ideale per il conflitto con il ciclope figlio di Poseidone, gabbato per sottigliezza e loquela, lasciato cieco alla vana ricerca di un colpevole.
Singolare reinterpretazione del IX canto dell’Odissea, il secondo appuntamento del “Cortile – Teatro Festival” (rassegna diretta dal regista Roberto Bonaventura) vive sull’inventiva siciliana di un ispirato Gaspare Balsamo, cuntista raffinato per scelta di temi, aggiunte e divagazioni personali. ‘U Ciclopu, Giufà e Firrazzanu vive di quel magma che travolge con dialoghi, invocazioni, richiami e citazioni l’oggetto stesso della sua ricerca teatrale: tra il greve e il metaforico, un racconto mai delimitato da banali calligrafie, ma avvincente nei suoi passaggi spesso spuri, adulterati da un dialetto siciliano (in questo caso quello trapanese) espanso come forma e contenuto della narrazione. Si leggono in questa direzione le storielle di Giufà e Firrazzanu, beffe intrise di una sciocchezza così ordinaria da apparire istanza politica, desiderio inconscio di cittadinanza.
Gremito in ogni ordine di posto, il piccolo teatro allestito nel cortile del Palazzo Calapaj-D’Alcontres di piazza Duomo si rianima con le ombre cinesi del cunto, variazioni sul tema che Balsamo conduce con sciamanica autorevolezza. Fino al racconto autobiografico che chiude lo spettacolo: un ritorno a Itaca-Messina, luogo di tormento, culla per una nuova partenza.
Domenico Colosi