“Aiace” di Ritsos, ascesa e declino di un eroe

Una rappresentazione magica, quella di “Aiace”, tratta dal testo di Ghiannis Ritsos, con la regia di Graziano Piazza. Scenario, la Villa Romana di Patti. Gli interpreti, lo stesso Graziano Piazza e Viola Graziosi, in perfetta sincronia, hanno reso un prodotto bello e originale, ove la presenza del femminile (dapprima prevalente sul maschile, inizialmente defilato) si è prestata ad una interpretazione suggestiva: il doppio femminile di Aiace, lo sfortunato costretto ad essere eroe, ha ripercorso le vicende della sua esistenza (dalle stelle rilucenti delle vittorie, alle buie traversie dell’essere relegato ai margini, rispetto ad altri eroi) i travagli della sua psiche tormentata da una coscienza fin troppo vigile, la propria storia, cioè, spalancata sui troppi dispiaceri.
Più che intravedere nella convincente trovata registica la figura della consorte di Aiace, Tecmessa, o dell’evocata “donna annegata”, che si anniderebbe in ciascun essere umano, è parso – volontario o meno che sia stato – un volersi riferire ad un essere androgino, con una forte componente femminile.
Potrebbe anche ritenersi che il valente G. Piazza, già eccellente interprete di King Lear al Globe Theatre di Roma, abbia voluto dar voce ad una simbolica donna, fattasi eroe, con un ruolo dunque comprimario nelle vicende di guerra, donna che può consentirsi di essere anche umana…. troppo umana.
Comunque sia, il poetico script, fedelmente proposto, dell’immenso autore greco del ‘900, G. Ritsos, fortemente evocativo, è stato reso ancor più struggente attraverso quella che non è sembrata una mera trovata stilistica, rendendo indimenticabile questa mitica figura di eroe per caso, creatura solinga, insofferente ai riti del potere, teso verso una meno ingombrante normalità, così tanto in difficoltà da porre in essere atti ridicoli, e che, solo con la perdita di tutto può divenire, infine, libero.
Aiace è umiliato dai propri fantasmi, in lotta con il proprio mito… toccante il pensiero dell’infinita piccolezza dell’essere umano al cospetto dell’universo che si sta risvegliando…..Ritsos, che riconosceva nella propria realtà la ripetizione di mitiche figure, penetra fra le piaghe e le pieghe dell’Aiace di Sofocle, in questa riscrittura in chiave poetica dell’esistenza contemporanea, rivendicando il suo stesso diritto a fallire.
Scenografia minimalista, ridotta al sonoro, molto d’effetto, di Arturo Annichino.
Con questa piece, presso la Villa Romana, location di eccezione, scelta per la seconda volta (dopo “L’infinito Giacomo”, con G. Pambieri) nell’ambito della rassegna di grande respiro, il “Festival teatro dei due mari”, fortemente voluto dal prof. Filippo Amoroso e dal dott. Lucio D’Amico, è stata consentita un’ulteriore opera di fruizione del sito archeologico del demanio culturale regionale, che non ha certo desacralizzato la villa stessa… a fine spettacolo visita notturna del sito illuminato.
Operazione riuscita, dunque, grazie all’interazione fra la Soprintendenza di Messina, e segnatamente le UU.OO. 5 e 8, il Comune di Patti e le migliori associazioni che da tempo operano in territorio pattese, e non solo.
Ulteriori esperimenti serali, condotti dall’amministrazione comunale, il concerto “canto stefano” con Fausto Mesolella, con le poesie di Stefano Benni e un Ensemble musicale, con voce recitante di Cinzia Maccagnano, intitolato ad Eolo, dio dei venti.
Si potrà anche apprezzare a Segesta la grande Viola Graziosi in “Sorelle” ed il valente Graziano Piazza, oltrechè ne “Le tre sorelle” di Cechov, in un testo di Calderon de La Barca e in uno script di Peter Stein in location da definire.
Attendiamo fiduciosi della bontà interpretativa anche di queste opere.

Tosi Siragusa