Mercoledì 27 gennaio è andato in scena al Teatro Vittorio Emanuele il concerto del celebre pianista Michele Campanella, protagonista in passato di numerose performance a Messina, in duo con la pianista Monica Leone, con gli archi dell’orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, in un programma dedicato interamente ai concerti per uno o due cembali di Johann Sebastian Bach, nella trascrizione per uno o due pianoforti.
Bisogna innanzitutto premettere che la scelta della data (27 gennaio) non poteva essere più infelice. Infatti in tale data si celebra da alcuni anni (2000) la giornata della memoria, in ricordo dell’olocausto, lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale; il 27 gennaio 1945 i soldati dell’esercito russo entrarono ad Auschwitz, il campo di sterminio simbolo della strage degli ebrei, e liberarono i superstiti, scoprendo l’orrore che tutti ormai sappiamo. Ovviamente in tale data fioccano numerose le celebrazioni, come il concomitante concerto dell’Accademia Filarmonica, giustamente dedicato alla memoria dell’olocausto, per cui non bisogna meravigliarsi se il teatro non fosse proprio gremito (tutt’altro). Inoltre il 27 gennaio del 1756 nacque uno dei più grandi musicisti e geni di tutti i tempi, Wolfgang Amadeus Mozart, pertanto una serata in tale ricorrenza dedicata a Bach non sembra molto comprensibile. Si sperava che almeno il bis fosse dedicato al grande compositore austriaco, i cui capolavori sono ampiamente compresi nel repertorio di Campanella, invece è stata eseguita la “Tarantella” di Sergei Rachmaninov, per due pianoforti, un pezzo gradevole, molto ritmato e che dà la possibilità di sfoggiare un certo virtuosismo (tra l’altro eseguito molto bene dai due solisti) ma che, come affermato proprio da Campanella prima di eseguirlo, “non ci azzecca nulla” (il pianista si riferiva al resto del programma eseguito, cioè Bach, ma noi lo estendiamo anche alla data, il 27 gennaio).
I concerti per cembalo e due cembali di Bach sono, per la maggior parte, trascrizioni di altrettanti concerti per violino o per oboe, di Bach stesso o di altri compositori, in gran parte smarriti. Tuttavia hanno una importanza capitale nella storia della musica, in quanto sono praticamente gli antesignani del concerto per strumento a tastiera solista. Inoltre da tali concerti si comprende quale enorme influenza ebbe il nostro Antonio Vivaldi (in particolare la raccolta dell’Op. 3 intitolata “L’estro armonico”) sulla musica di Bach, a cominciare dalla suddivisione del concerto in tre movimenti. Alcuni dei concerti per cembalo (per esempio quello per quattro cembali) di Bach sono infatti trascrizioni di concerti di Vivaldi dall’Op. 3. Il concerto in re maggiore per cembalo BWV 1054, eseguito da Monica Leone, (non da Campanella come riportato nel programma di sala) è una trascrizione del bellissimo concerto di Bach stesso per violino BWV 1042, fortunatamente non perduto, il che ci fa immaginare quali immensi capolavori di Bach purtroppo non siano arrivati ai giorni nostri. Il BWV 1052 in re minore (eseguito invece da Michele Campanella), è uno dei più eseguiti, ed è particolarmente interessante per il carattere drammatico, e severo dei movimenti estremi. Il concerto BWV 1060 per due cembali è l’unico scritto in origine direttamente per questi strumenti, ed è anche uno dei più belli ed eseguiti, dal carattere interamente drammatico, ma con un sublime movimento centrale imperniato su un dialogo dolce e malinconico dei due solisti. Anche nel concerto in do maggiore, trascrizione di un concerto andato perduto, pieno di brio, spicca il movimento centrale, Adagio in tonalità minore, eseguito dai due solisti senza l’orchestra, ma anche l’ultimo movimento, una fuga travolgente, alla maniera di Bach. L’esecuzione dei concerti per cembalo e per due cembali di Bach, nella trascrizione per pianoforte, sicuramente avranno fatto storcere il naso ai “puristi” che prediligono l’esecuzione rigorosamente con il clavicembalo, e magari con strumenti originali, abituati all’ascolto discografico delle splendide esecuzioni di Leonhardt, Pinnock, solo per citarne alcuni. In questo caso, a nostro modo di vedere, non hanno tutti i torti. Abituati all’ascolto della versione clavicembalistica, ci si rende conto immediatamente che il timbro del clavicembalo, il suono prolungato e amplificato dal raddoppio delle tastiere non può essere sostituito dal pianoforte; ma soprattutto l’esecuzione pianistica non permette, nei tempi veloci (i primi e terzi movimenti) di rendere doverosamente il basso continuo spesso eseguito dalla mano sinistra, pensato per uno strumento completamente diverso. Non a caso molti critici musicali considerano non appropriato il termine “barocco” per la musica composta fra la fine del ‘600 e la prima metà del ‘700, preferendo il termine “musica con il basso continuo”.
Giovanni Franciò