Presidio a oltranza, i lavoratori Triscele pretendono chiarezza

Fino al 31 dicembre avranno il contributo della cassa integrazione. Poi il buio. Il rischio più serio è il licenziamento, ma se anche non fosse così serve subito chiarezza. La pretendono i lavoratori della Triscele, quegli stessi che in questi anni hanno lottato per non perdere il posto di lavoro e che nonostante tutto hanno provato ad avere fiducia nell’azienda di via Bonino. Il 31 dicembre è ormai vicino. Temono che questi ultimi due mesi trascorrano senza che si faccia nulla, come del resto è accaduto fino ad oggi. Loro hanno deciso di usare il tempo che resta facendosi vedere e sentire e così da domani torneranno in presidio a oltranza davanti i cancelli della sede di via Bonino. Si tratta di 41 lavoratori che aspettano la promessa ripresa dell’attività degli stabilimenti, ripresa che però deve passare dalla presentazione del nuovo Piano industriale, piano che la società non ha finora presentato perché attende il cambio di destinazione d’uso dell’area in cui sorgono attualmente gli stabilimenti. E’ stato infatti questo il punto più contestato dai sindacati negli ultimi tempi che hanno sempre temuto che l’unico scopo della famiglia Faranda, proprietaria della Triscele, fosse ottenere profitto da quell’area rendendola edificabile, dimenticando lavoratori e produzione. Giovanni Mastroeni, Calogero Cipriano e Salvatore Orlando, segretari generali di Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil Messina, insieme ai lavoratori, tornano dunque a chiedere all’amministratore unico della Triscele, Francesco Faranda, il Piano industriale dell’azienda che dimostri la reale volontà di riavviare la produzione.

Per comprendere meglio tutti i passaggi di questa lunga vicenda i rappresentanti sindacali fanno un passo indietro e tornano a cinque anni fa. Dopo la lunga e travagliata vertenza con la Heineken, proprietaria della Birra Messina, che alla fine del 2006 aveva annunciato la volontà di chiudere lo stabilimento di Via Bonino, la famiglia Faranda, originariamente proprietaria sia degli stabilimenti che del marchio, acquista l’attività lanciando il nuovo marchio Triscele che produce le nuove Birra del Sole e Patruni e Sutta. Nel frattempo una ventina di unità di personale erano andate in mobilità e la forza lavoro si era ridotta a circa 45 persone.

Ad appena tre anni dall’avvenuta acquisizione però la situazione si complica. L’amministratore unico Francesco Faranda annuncia il blocco della produzione di birra nello stabilimento di Messina per problemi legati agli impianti vecchi e obsoleti e propone al sindacato il licenziamento dei lavoratori, la messa in mobilità degli stessi. Parte una dura protesta che porta all’accordo del 28 marzo 2011 all’Ufficio provinciale del Lavoro nel quale l’azienda accetta la proposta del sindacato del ricorso alla Cassa integrazione straordinaria per crisi finalizzata al processo di delocalizzazione degli impianti di via Bonino dove, ormai è chiaro, si intendono costruire immobili.

Altro passaggio critico nel marzo 2012 quando le organizzazioni sindacali chiedono all’azienda l’avvio del confronto sul nuovo Piano industriale. La richiesta viene respinta e l’azienda intima che il Piano verrà presentato solo dopo il cambio di destinazione d’uso dei terreni dove sorgono gli stabilimenti. Iniziano le manifestazioni davanti ai cancelli di Via Bonino, l’azienda risponde inviando le lettere di licenziamento ai 41 dipendenti, interviene la Prefettura di Messina che ottiene la revoca dei licenziamenti e l’utilizzo, sino al 31 dicembre 2012, della Cassa integrazione in deroga per i lavoratori.

Intanto prosegue l’iter per il cambio di destinazione d’uso dei terreni dove sorgeva lo stabilimento e in questi giorni si attende l’ultimo passaggio di natura formale, il Visto del CRU – Comitato Regionale Urbanistico.

Al momento però non si registrano novità e cominciano a salire la tensione e la preoccupazione. Lavoratori e sindacati torneranno a chiedere alla Prefettura la convocazione di un incontro alla presenza dell’azienda per avviare l’esame del nuovo Piano industriale. Il tempo sta per scadere e non si può più rinviare nulla. “Solo alla conclusione positiva della trattativa sul nuovo piano industriale necessario per presentare dal 1° gennaio 2013 la richiesta di Cigs per ristrutturazione, si concluderà la lotta che i lavoratori oggi stanno annunciando- spiegano Mastroeni, Orlando e Cipriano-. In caso contrario, se l’azienda dovesse ancora una volta rifiutare di discutere il nuovo Piano industriale, sarà evidente a tutti, lavoratori e città di Messina, come sin dal principio l’unico obiettivo di Faranda fosse lo sfruttamento immobiliare delle aree di via Bonino e non la ripresa della produzione, la salvaguardia dei posti di lavoro e di un pezzo storico del nostro patrimonio economico e produttivo”. (Francesca Stornante)