Prima del catastrofico sisma del 28 dicembre del 1908 la famosa faglia “Messina-Giardini”, ritenuta come una delle principali responsabili del terribile evento tellurico, è stata interessata da numerosi periodi di instabilità, che generò terremoti particolarmente energetici, ben oltre la soglia del danno, stimabile attorno un evento di magnitudo 5.0-5.5 Richter. Tralasciando i violenti terremoti della crisi sismica calabrese del 1783, avvenuti lungo il tetto delle principali faglie trasformi che bordano il massiccio aspromontano e le coste della Calabria meridionale, le città di Messina e Reggio Calabria, nel corso della loro illustre storia millenaria, sono state danneggiate frequentemente da terremoti di moderata o forte intensità, con epicentro nell’area dello Stretto di Messina o zone limitrofe. Notevoli furono i danni registrati durante le intense sequenze sismiche verificate fra il 1509, il 1494, l’853 e il 650. Durante i terremoti del 1509 e del 1494, i cui epicentri furono stimati approssimativamente attorno l’area dello Stretto di Messina e le coste della Calabria meridionale, dalla piana di Gioia Tauro fino a Scilla, persino una parte delle mura che circondavano la città di Messina rimasero danneggiate, crollando in più punti. Ma si evitò un vero e proprio disastro, anche perchè i sismi non furono cosi intensi da essere paragonati con i tremendi sciami che caratterizzarono il 1783 o con la tremenda scossa del 28 dicembre 1908. Un altro forte terremoto, nell’anno 853, danneggiò seriamente la città di Messina, causando persino delle vittime fra la popolazione. La città però anche allora rimase danneggiata, ma non distrutta. La particolarità di quel terremoto riguarda la localizzazione dell’area maggiormente vulnerata che si concentrò proprio a ridosso della città di Messina, mentre a Reggio Calabria e lungo le coste calabresi i danni furono minori, per non dire quasi inesistenti per certi versi. Di certo nessuno di questi eventi tellurici può essere paragonata con quanto avvenne nel 1908, in quella fredda mattinata di fine anno. Per risalire ad un evento sismico paragonabile, per forza e per l’estensione della zona vulnerata, a quello del 1908, lungo l’area dello stretto di Messina, bisogna andare indietro di parecchi secoli.
Stando ai dati raccolti sul campo e in letteratura l’ultimo evento tellurico catastrofico che ha colpito l’area dello stretto risalirebbe al IV secolo D.C., intorno all’anno 374 D.C. In quell’anno un violentissimo terremoto, seguito da uno sciame di grandi scosse piuttosto lungo, devasto le coste dello stretto, da Reggio a Messina, causando degli improvvisi spopolamenti in entrambi le rive. Ricerche archeologiche dell’ultimo decennio avrebbero portato alla luce numerose lapidi ed epitaffi risalenti proprio a quel periodo. In quell’anno un fortissimo terremoto investì tutta la zona dello Stretto, venendo seguita pure da un maremoto che devastò l’intera fascia costiera, lasciando una sottile striscia di sedimenti ben evidenziata da ricerche di paleo-sismologia. Ma di questo non bisogna stupirsi più di tanto. Difatti lo Stretto di Messina, per la sua aspra batimetria, è una delle poche aree del mondo dove possono insorgere degli tsunami anche in caso di scosse sismiche non particolarmente intense. Le forti correnti di marea che si manifestano nello Stretto riescono a far accumulare una enorme mole di sedimenti all’interno dei canyons sottomarini presenti appena a sud di questo braccio mare. Le pendenze superano il 30% e la profondità arriva ad oltre –700 m davanti Reggio Calabria ed a –4.000 m nella parte terminale del Canyon di Messina, sul mar Ionio. Tale contesto fa in modo che in occasione di scosse sismiche, si originano frane sottomarine nelle masse di sedimenti, soprattutto lungo il Canyon di Messina posto all’imbocco meridionale dello Stretto. Non è un caso se durante il terremoto del 1908 si svilupparono dei rilevanti scivolamenti di fango marino i quali, per il conseguimento di elevatissime velocità, diedero vita a una vera e propria “perturbazione sottomarina” (enorme spostamento d’acqua dalle profondità fino in superficie) che originò il famoso tsunami (Run-Up di 11,50 m a Sant’Alessio Siculo).
Anche le dinamiche, che videro un netto sprofondamento delle coste calabresi e siciliane, presentano numerose analogie con il 1908. Con molta probabilità possiamo ritenere il sisma del 374 D.C. come il gemello o il penultimo grande terremoto che ha colpito lo stretto di Messina prima del 1908. Se ciò verrà confermato significa che per un terremoto dalle caratteristiche di quello del 1908 il tempo medio di ritorno sarebbe dell’ordine di circa 1000 anni, con un range temporale che potrebbe spaziare dai 500 anni fino ai 1500 anni. Ovviamente per il momento si tratta solo di un’ipotesi che però viene avvalorata in prestigiosi studi condotti sul campo da personalità di grande spessore (non solo nazionale) nell’ambito sismologico, come il prof. Enzo Boschi o il dott. Gianluca Valensise che per anni hanno studiato tutti gli enigmi della misteriosa e invisibile faglia dello stretto (per questo ribattezzata come “faglia cieca”). Nonostante questo aspetto l’allerta lungo lo Stretto deve rimanere sempre molto alta e con essa anche la cultura alla prevenzione e convivenza con i fenomeni sismici. Infatti anche se è vero che un sisma cosi catastrofico come quello del 1908, magnitudo compresa fra i 7.0 e i 7.2 Richter (localmente ulteriormente amplificata dalla natura dei terreni alluvionali) si potrà ripetere fra circa 500-1000 anni non si può escludere che al contempo, un terremoto meno forte di quello del 28 Dicembre 1908, ma al tempo stesso ben oltre la soglia del danno, tipo un 5.5-5.7 Richter, possa investire lo Stretto di Messina entro i prossimi 50 o 100 anni, causando non pochi danni a cose e persone. Proprio per questo ci auguriamo che l’attenzione in merito al rischio sismico rimanga molto alta, coinvolgendo in modo deciso la gran parte della popolazione esposta che per il momento sembra ignorare il rischio (il cosiddetto fatalismo), se non solo temporaneamente, quando da qualche parte in Italia la terra torna a tremare.
Daniele Ingemi