In scena al Vittorio Emanuele di Messina con Giulio Corso, Vanessa Gravina e Paolo Tritestino, regia di Geppy Gleijeses
MESSINA – Un grande classico della tradizione ha costituito la magistrale pièce, messa in scena dal 21 dicembre ad oggi, (turno pomeridiano) quale secondo appuntamento della stagione di prosa 2024/2025 del Vittorio Emanuele, già in fortunata tournee e di certo uno dei punti di richiamo per conferme e nuovi abbonamenti. Trattasi di una coproduzione Gitiesse Artisti Riuniti e Teatro Stabile del Veneto.
Una fedele ed eccellente versione con grande presa sul pubblico
Una perfetta ricostruzione della superba scrittura, quella della regale giallista Agatha Christie, per la validissima e misurata regia di Geppy Gleijeses, nella sapiente e fedele traduzione di Edoardo Erba.
Co-protagonisti d’eccellenza Giulio Corso nel ruolo di Leonard Vole, Vanessa Gravina in quello di Cristina Helm e Paolo Triestino in quello dell’avvocato Sir Wilfrid Robarts. Gli altri interpreti, tutti davvero encomiabili: Erika Puddu, Bruno Crucitti, Antonio Tallura, Francesco Laruffa, Michele De Maria, Sergio Mancinelli, Paola Sambo e Lorenzo Vanità.
La performance è stata dedicata alla memoria del m. Giorgio Ferrara.
L’opera teatrale è tratta dalla commedia di enorme successo “Testimone d’accusa” (Witness for the Prosecution) di Agatha Christie del 1953, a sua volta rielaborata da un proprio racconto del 1925, e resa ancor più celebre dall’omonimo film del 1957, diretto da Billy Wilder, con i superbi Tyrone Power e Marlene Dietrich.
Lo script di base, e le successive derivazioni, davvero ben note, non ne hanno inficiato la godibilità, e ciò vale in particolare per questa rappresentazione, che procede anch’essa nel solco di meccanismi perfettamente propri della struttura giallistica, con colpo di scena finale, preceduto da altrettanti consoni stratagemmi volti a indirizzare il lettore (e comunque il fruitore) a soluzioni fuorvianti rispetto alla rivelazione di chiusa.
Mi è gradito riportare la trama filmica, rappresentando la stessa di sicuro la versione più conosciuta:
Sir Wilfrid Robarts, un esperto avvocato penalista di successo, tornato al lavoro dopo settimane di degenza forzata in ospedale, in seguito a un infarto, è indirizzato a riprendere in mano casi e reputazione il più in fretta possibile, ignorando le disposizioni del medico e dell’infermiera Miss Plimsoll, (figure non presenti nella piece). Robarts riceve dunque in studio il collega e procuratore Mason che intende affidargli la difesa dello squattrinato Leonard Vole, accusato dell’omicidio di Emily French, una ricca vedova cinquantenne.
La colpevolezza di Vole parrebbe lampante, Sir Wilfrid, però, attratto dalla sfida professionale, dopo qualche titubanza, accetta di assumere la difesa di Vole. La posizione di Vole si aggrava quando si scopre che la French gli ha destinato in testamento la somma di 80.000 sterline e per questo viene tratto in arresto. A fornirgli un alibi consorte Cristina Helm, che si presenta nello studio di Sir Wilfrid affermando che il coniuge è rientrato a casa poco prima dell’ora esatta in cui veniva commesso il delitto. In un successivo incontro con Sir Wilfrid, Cristina sorprende l’avvocato rivelandogli di non essere la legittima moglie di Vole ma di essersi fatta sposare pur avendo già un marito, allo scopo di lasciare la Germania distrutta dalla Seconda guerra mondiale e di rifarsi una vita in Inghilterra. Il processo inizia con ascolto in aula dei testimoni, fra i quali Janet MacKenzie, governante della vittima, particolarmente ostile nei confronti dell’imputato. A sorpresa, l’accusa chiama a deporre proprio Cristina, la quale muta anche in aula versione, negando di essere legalmente coniugata con l’uomo e affermando che Vole, la sera del delitto, in realtà è ritornato a casa circa 45 minuti dopo rispetto a quanto riferito in precedenza e con gli abiti macchiati di sangue.
L’inattesa testimonianza a suo sfavore fa precipitare Vole nella disperazione, mentre Sir Wilfrid vede vacillare completamente la sua linea difensiva, poiché la fredda deposizione di Cristina è parsa estremamente convincente. Sir Wilfrid viene poi contattato da una misteriosa donna, che dichiara di essere in possesso di una serie di lettere d’amore scritte dalla Helm al suo amante. Intravedendo la possibilità di screditare la testimonianza della moglie di Vole, Sir Wilfrid ottiene a pagamento le lettere, compresa una in cui Cristina rivolgendosi al suo amante dichiara proprio di voler incastrare il marito con una falsa testimonianza allo scopo di liberarsi di lui. Wilfrid presenta tale carteggio in tribunale, riuscendo a capovolgere la situazione e a provocare l’indignazione del pubblico nei confronti della donna, che sul banco dei testimoni perde il controllo, confessando i suoi spregevoli intenti. Impressionata dal crollo emotivo di Cristina, la giuria dichiara Vole innocente. Non si cita volutamente la conclusione, pur essendo come già riferito, la stessa nota ai più.
Giova però evidenziare l’entrata in scena di ulteriore figura femminile, tale Diana, che sembrerebbe particolarmente legata al già imputato oramai assolto.
L’avvocato della difesa allora riconoscerà in Cristina quella donna già apparsagli al primo colloquio quale speciale.
Quanto alla resa interpretativa, se è apparsa come risultante di una costruzione corale dettagliatamente messa a punto, il focus va comunque messo sui ruoli ricoperti magistralmente in ispecie da Vanessa Gravina, grandissima nell’incarnare la complessa psiche della moglie dell’imputato, a sua volta interpretato con estrema naturalezza dall’altrettanto pregevole Giulio Corso, in grado di restituire quella figura fintamente ingenua e invece realmente spietata; ancora l’Avvocato della pubblica difesa, ci ha consegnato un personaggio perfettamente coerente con lo script originario, quello teatrale e il celeberrimo lungometraggio, che sicuramente avrebbe potuto costituire un ostacolo nel confronto con qualunque piece successiva: la sfida è stata invece in questa fattispecie assolutamente vinta.
Lo spettacolo, a tratti ironico e giocoso, nel rimando al mondo anglosassone successivo al secondo conflitto bellico – come ripreso dall’omonima opera teatrale della Christie – ha riportato con studiata perfezione quelle atmosfere, già nell’incipit, con ambientazione nello studio del rappresentante della pubblica difesa Sir Wilfrid Robarts, con caminetto d’ordine e le immancabili tazze di te servite dalla frizzante segretaria, e poi, con trasferimento della scena nei luoghi del processo, a mezzo ricostruzione assai efficace dell’aula della Court, e nello sviluppo della vicenda giudiziaria: in particolare non può non mettersi il focus sulla riuscita presenza dello stenografo, atto alla scrittura dei verbali giudiziari attraverso una macchina stenografica autentica del 1948 dall’inconfondibile ticchettio. Il gioco di luci ha realizzato un consono pendant rispetto agli elementi scenici.
Se la psicologia dei personaggi è riuscita comunque, a poco a poco, a snodarsi, da lodare è soprattutto la già riferita innegabile perfezione del meccanismo, in un crescendo davvero inarrestabile e con una minuziosa costruzione giudiziaria rispettosa della precisione e verità; la performance ha visto anche una partecipazione diretta del pubblico, con i sei giurati scelti tra i partecipanti alla serata, chiamati ad emettere il verdetto finale.
I costumi, delineati con cura quasi maniacale, hanno poi riportato ancor più gli astanti all’epoca narrata, con i twin set della segretaria, i soprabiti e la borsetta della macchiettistica governante, le gonne a tubino, le giacche alla Christian Dior della apparente “femme fatale”, fino alle toghe e parrucche bianche ricciolute degli avvocati e del giudice.
Gli stacchi musicali, ancora, hanno accompagnato drammaticamente le fasi più determinanti della storia, divenendo sul finale volutamente invasive…. quasi a coprire le voci attoriali prima del sorprendente esito giudiziale.
Una rappresentazione, in conclusione, di assoluto valore artistico, salutata da ovazioni continuate del numeroso pubblico, visibilmente soddisfatto.