Quel 71,58% di no. In Sicilia e a Messina la Waterloo del Pd a trazione renziana

I NUMERI

Intanto i numeri: 1)la percentuale del no della Sicilia, il 71,58% (oltre 1 milione e 619 mila voti) è seconda solo a quella della Sardegna (che ha superato il 72%); 2)a Messina e provincia il no ha sfiorato il 70% con un 69,55% (pari a 207.484 voti contro i 90.821 sì). A Castelmola addirittura il no è arrivato al 78,99% (411 no su 524 votanti). 3)a Messina capoluogo il no è pari al 70, 54% (74.750) e il sì 29,46% (31.222).

LA VALANGA DI NO IN SICILIA

Più di ogni altra Regione del sud, la Sicilia ha chiuso la porta a Renzi. La forbice è di 40 punti di percentuale, una disfatta per Renzi e il Pd che viene proprio da quell’isola nella quale il governo aveva capito che era necessario recuperare. Da settembre a fine novembre il premier è tornato in Sicilia tre volte ed ha mandato i “suoi” uomini in lungo ed in largo per cercare di recuperare là dove i sondaggi davano il no al 55%. Non si sarebbero mai aspettati quel che, stando all’ormai noto tweet di Ernesto Carbone dopo il fallito referendum sulle trivelle ad aprile, è diventato il “ciaone” della Sicilia. Ci sarà tempo per il Pd di comprendere quali siano stati gli errori, compresi quelli, evidenziati da Tempostretto, di una campagna referendaria fatta strumentalizzando i ruoli di governo e confondendo “capre e cavoli”. Troppe promesse, troppi annunci, in una terra abituata a decenni di impegni disattesi e chiacchiere, hanno sortito l’effetto contrario. Ma la bocciatura non è solo per Renzi, appartiene invece alla classe dirigente di questo Pd a trazione renziana in Sicilia.

Bocciando la riforma i siciliani hanno contestualmente “anticipato” quel che pensano anche del governo regionale. Sì, è vero, Renzi ha firmato il Patto per la Sicilia che porterà fiumi di risorse nei prossimi anni (peraltro non si tratta di soldi “nuovi di zecca” ma di cifre spesso inserite in altri capitoli), ma la Sicilia resta una Regione poverissima, con un tasso di disoccupazione altissimo, con un’emorragia di giovani dolorosa, con una situazione delle infrastrutture e dei trasporti indecente. In questo contesto il governo nazionale ha commissariato la giunta Crocetta attraverso l’assessore Baccei, che tiene i cordoni della borsa. Il governatore siciliano ha accettato con Roma un accordo sui contenziosi che di fatto consegna mani e piedi l’isola. Il Pd renziano dell’isola ha giocato a fare l’opposizione a Crocetta a giorni alterni, contestando il presidente nei pari e piazzando uomini e assessori nei giorni dispari.

Ma è soprattutto sugli “uomini del premier” che qualcosa non ha funzionato. Non è soltanto la bocciatura del governo Renzi, che da due anni governa con l’ex braccio destro di Berlusconi, il siciliano Angelino Alfano e con uomini che da quel centro destra provengono, ma è una sonora bocciatura di questa classe dirigente “calata dall’alto”, dai palazzi romani. Non c’è stato nulla tra le promesse delle ultime visite di Renzi in Sicilia che abbia convinto al sì, dal Ponte sullo Stretto alle agevolazioni per gli imprenditori, dalla firma dei Patti alle risorse per la riqualificazione urbana.

Il no del 4 dicembre è un anticipo della campagna elettorale per le regionali di ottobre 2017. Crocetta ha annunciato che si sarebbe comunque ricandidato, nonostante una gestione a dir poco improbabile. Questo risultato sconfessa chi comanda il Pd in Sicilia, apre la porta alla cavalcata dei 5Stelle ed al centro-destra che, con Miccichè, con Musumeci esulta. Il no dell’isola è soprattutto protesta ma per il centro-sinistra la strada per le regionali d’ottobre è tutta in salita (e con una “Crocetta”sulle spalle)

LA VALANGA DI NO A MESSINA

Infine Messina. I no hanno superato il 70,5%, una disfatta per la classe dirigente. Il no va a sbattere nel muro di un Pd svuotato che non è stato riempito in un anno intero, un Pd commissariato che non è riuscito, nonostante la buona volontà dei “renziani storici” a riavvicinarsi alla gente. Nei giorni scorsi in un’intervista a Gianluca Rossellini l’ex ministro centrista D’Alia a proposito di future alleanze ha detto: “vorrei allearmi con il Pd a Messina, ma a Messina il Pd non esiste”. Negli incontri organizzati dal Pd commissariato si è vista l’assenza di quella base che costituisce il tessuto fondante di un partito. Le polemiche dei giorni della Festa dell’Unità al Giardino Corallo erano il campanello d’allarme di chi diceva “attenti, un partito non si costruisce nelle stanze delle decisioni”. Quel 70 % dice che il Pd di Messina post Genovese è stato svuotato dalla transumanza ma non è stato riempito. Non si riempie un partito commissariandolo per anni. Lo sanno bene quei leader che non sono iscritti al partito, ma sono alleati, come Picciolo e D’Alia, che stanno a guardare la disfatta pronti a subentrare là dove ci sono state le falle. Il Pd di Messina da solo non può andare da nessuna parte. Neanche il Pd siciliano che, sulla scia di quanto fatto a Roma sta “imbarcando” chiunque in una nave che traballa.

In tempi non sospetti Cuffaro, appena uscito dal carcere disse: “sì, è vero, molti di quanti erano a me vicini adesso sono nel Pd. E’ la nuova Democrazia Cristiana”. In Sicilia il Pd ha aperto le porte a tutti, fino all’ingresso in maggioranza di Ncd, in linea con quanto avvenuto a Roma. Mettere accanto Cracolici e Castiglione può sembrare una soluzione utile sul momento, ma come disse un anno e mezzo fa l’ex deputato regionale Pd Ferrandelli che per primo sbattè la porta: “in politica la matematica non sempre funziona. Se sommi portatori di voti non è detto che fai bingo”.

CHI HA VINTO IN SICILIA: ha vinto “l’accozzaglia” per usare un termine in voga nei giorni scorsi. Hanno vinto il M5S e il centro-destra ma anche quanti, nella maggioranza ufficialmente votavano sì, ma nell’urna hanno scelto il no come segnale a Renzi. Un leader azzoppato deve rifare il suo esercito con generali e colonnelli che siano in grado di reggere la trincea.

Rosaria Brancato