teatro

Tieste di Seneca – Il potere crudo e bruto atavicamente logorante

Robusta produzione Teatro Della Città e Associazione Teatro dei due Mari, su script di provenienza senecana, con adattamento e regia di Giuseppe Argirò e valide interpretazioni, oltre quelle dei protagonisti, G. Pambieri e P. Graziosi, di Sergio Basile, Roberto Baldassari, Vinicio Argirò e Elisabetta Arosio.

Una tragedia corale, che prende le mosse dallo splendido testo di Lucio Anneo Seneca, Thyestes esemplare poiché non trova ascendenze in opere classiche della grecità e ci restituisce una narrazione che costituisce il “prequel”, per così dire, di Agamennone di Eschilo e dell’Oreste euripideo, mostrandoci le vicende dei discendenti di Tantalo, prole della sua prole, colpevole di aver voluto sfidare gli dei per mettere alla prova la loro chiaroveggenza, offrendo loro in pasto il proprio figlio Pelope, e ottenendo in cambio del misfatto un atroce castigo perpetuo, quello di non potersi sfamare, né dissetare, pur in presenza di cibo e acqua, che non sono mai però alla portata delle sue labbra e mani. Si trova infatti nel Tartaro e lì sconterà in eterno il delitto dissennato.

L’opera teatrale si apre con il capostipite Tantalo, anzi con la sua Ombra e una Furia che lo sollecita a espandere l’odio per far proliferare la malvagità sulla sua stirpe. Un Cortigiano lo informa di quanto accadrà alla sua prole, ai due fratelli coltelli, Tieste, che dà il nome alla rappresentazione e Atreo, nemici giurati per ragioni di cuore, avendo il primo portato via la sposa all’altro e, insidiato il regno, fuggito, farà ritorno in patria, richiamato proprio dal marito abbandonato, in uno ai suoi figli. Perfino il feroce Tantalo, pur di non assistere al tremendo misfatto preferirebbe far ritorno al suo castigo eterno.

Tieste, così, andrà incontro al proprio destino, accecato dalla sete di potere, non avvedendosi del lugubre raggiro posto in essere dal vendicativo Atreo, che gli servirà la vendetta quale piatto fumante, con le carni a brandelli dei poveri nipoti, che il padre divorerà a sua insaputa.

La direzione di Giuseppe Argirò dà, come è giusto, rilievo alla truculenza della storia, caratterizzata dalla smania di vendetta, tracotanza e amore smisurato verso il potere che, di generazione in generazione, genera atrocità senza luce alcuna, fino a giungere ai figli di Atreo, appunto Agamennone e Menelao, che non godranno di giorni felici, talchè il marito di Clitennestra sarà ucciso per mano della stessa moglie e dell’amante, Egisto, che del condottiero è invero cugino, essendo figlio del famoso Tieste.

Quanto a Menelao, è ben noto il tradimento da parte della moglie, la bellissima Elena, che fuggirà con Paride e ciò genererà la ventennale guerra dei greci contro Troia. Anche le discendenze di Agamennone e Menelao non vivranno esistenze tranquille: si pensi ad Oreste, Elettra e alla figlia di Elena, Ermione. Una catena luttuosa, ove sangue genererà altro sangue….all’infinito. Per Seneca il governo politico è rovesciamento delle leggi naturali, Tantalo, Tieste e Atreo perdono il senso di giustizia con atti sacrileghi. Nessun eroe vincitore, anzi unico modo di sopravvivere al potere è starne lontano. L’inganno, infatti, è elemento imprescindibile del potere, e mette in luce la perversione umana. È evidente cogliere l’analogia con i moderni regimi totalitari, a testimonianza della modernità e attualità dell’opera “de qua”.

Quanto alla piece in trattazione, la resa interpretativa degli eccellenti protagonisti, Giuseppe Pambieri e Paolo Graziosi, ma anche delle altre presenze attoriali, sempre in parte, ha magistralmente espresso il testo, appropriandosi ciascuno del proprio personaggio e calandosi perfettamente in quei panni, talora davvero scomodi.

Le scenografie ben congegnate – con le luci di scena prontamente, ove del caso, di abbellimento, con un trono, un baule, un tavolo con rosso tovagliato, ove fin da principio campeggiano già, in bella vista, le teste mozzate dei figli di Tieste e che nel cruento finale sarà protagonista assoluto del palcoscenico a sugellare quel banchetto disumano.

Anche i costumi, assolutamente confacenti, hanno dato il giusto tocco, impreziosendo una mise en espace convincente, che ha riscosso il meritato plauso del pubblico presente, attento e coinvolto, nonostante gli iniziali scrosci di pioggia abbiano generato qualche disagio.