In scena nel suggestivo Chiostro di San Francesco, a Patti, l'opera è l'ultima fatica teatrale della drammaturga britannica Sarah Kane, risalente al 1999. Il dramma – concepito come una sinfonia per una voce sola – rappresenta un gesto di fiducia e di complicità nei confronti del teatro, ridotto a una cavità assoluta e aspra, senza alcuna didascalia e nessuna scenografia, e al tempo stesso un grido di rabbia contro il mondo. Scritto dal punto di vista di una persona con gravi problemi di depressione, “Psicosi delle 4,48” è la testimonianza del disordine mentale dell'autrice, che dopo aver completato il testo fu ricoverata in ospedale in seguito a un tentativo di suicidio. Lasciata sola tre ore per mancanza di personale, si impiccò con i lacci delle sue stesse scarpe il 20 febbraio del 1999. Aveva 28 anni. «Con questo testo – spiega il regista Walter Pagliaro – la Kane prosegue il cammino di progressiva disintegrazione della struttura drammatica che aveva avviato nelle esperienze precedenti. In “Psicosi” non ci sono più personaggi, ma voci che raccontano, gridano, soffrono e giocano anche, intersecandosi fra loro e rubandosi il tempo». È il dolore il comune denominatore fra frammenti di esperienze, ricordi, odori e sensazioni che riaffiorano alla memoria in modo caotino e repentino, senza una logica apparente, come degli scarafaggi che si muovono nella testa di una donna devastata dall'improvviso irrompere dell'emozione. «Insieme a Micaela Esdra – prosegue Pagliaro – abbiamo cercato di mettere sotto la luce fredda dei proiettori proprio quella testa che cerca disperatamente la sua ombra, il suo doppio, forse la sua vera identità». Costituito da un lungo monologo e da un allestimento minimale, “Psicosi delle 4,48” (secondo le statistiche è l'orario in cui si prova la più forte tentazione verso il suicidio), non è però solo la dolorosa lettera di una donna disperata, ma rappresenta “una sorta di trattato riguardo al vivere con consapevolezza”, come scrive Endward Bond, e al contempo un riflessione sul teatro stesso, privo non solo di personaggi o indicazioni di scena, ma anche di illusioni o effetti consolatori. «Allora – spiega Pagliaro – scompare anche la punteggiatura e persino l’impostazione della pagina scritta subisce sussulti continui, terremoti tipografici, come se le parole possano staccarsi autonomamente dal loro contesto naturale per assurgere a vita propria, come pietre da scagliare contro qualcuno. Il teatro può, sa e deve lanciare le sue provocazioni, i suoi sassi contro i benpensanti, altrimenti non ha ragione di essere. Ogni processo di allegerimento evasivo, di perbenismo gratificante, di compostezza civica, di integrazione nelle istituzioni, è secondo la scrittrice inglese la tomba stessa del teatro». “Impazzisci e muori o diventa equilibrato e malsano”, scriveva Antonin Artaud, e questa frase lancinante Sarah Kane l'aveva affissa sui muri che imprigionavano la sua stessa esistenza. «A me – conclude il regista – piacerebbe appenderla in teatro perché, nella sua assolutezza, esplicita il disagio, il malessere e l'orrore per quello che accade quotidiamanete intorno a noi».