Arriva al vaglio dell’udienza preliminare la posizione dell’ex assessore comunale Melino Capone, indagato insieme a due funzionarie della Regione Siciliana per la gestione dell’Ancol, l’ente di formazione professionale gestito a Messina dall’ex componente della Giunta Buzzanca e dalla moglie dell’ex sindaco, Daniela D’Urso. Il pm Camillo Falvo ha chiesto per Capone il rinvio a giudizio per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Se ne occuperà il 22 novembre prossimo il gip Massimiliano Micali. Le indagini della sezione di PG della Guardia di Finanza hanno evidenziato come Capone avrebbe ottenuto dalla Regione dal 2006 al 2011 la bella somma di 13 milioni 600 mila euro pur non avendone diritto in quanto l’Ancol nazionale gli aveva revocato l’incarico. Lo scandalo scattò nel 2009 quando emerse la parentopoli nella sede siciliana dell’ente, dove lavoravano la madre di Capone, pur senza essere in possesso di adeguato titolo di studio, la cognata ed il fratello, la moglie dell’allora sindaco Buzzanca e del consigliere comunale Ticonosco. Tutti venivano retribuiti nonostante l’Ancol fosse una Onlus, quindi senza scopo di lucro. La Guardia di Finanza iniziò ad interessarsi alla sede regionale dell’Ancol ma solo due anni dopo l’inchiesta ebbe nuovo impulso. Nel giugno del 2011 la presidente nazionale dell’Ancol, Maria Vittoria Valli scoprì su alcuni siti internet che l’Ancol Sicilia continuava a ricevere finanziamenti regionali. Inviò due lettere alla presidenza delle Regione Siciliana ed all’assessorato regionale della Formazione Professionale informandoli che l’Ancol Sicilia non esisteva più e dunque non poteva ricevere soldi pubblici. La prima lettera fu protocollata ed archiviata ma non vennero mai informati i responsabili dei finanziamenti. Per questa grave omissione sono state indagate due funzionarie regionali. Dell’altra missiva a Palermo si sono perse le traccia ma nella sede nazionale dell’Ancol a Roma sono custodite le ricevute di ritorno. Contemporaneamente la Valli inviò un esposto alla Procura della Repubblica di Messina allegando la lettera spedita alla Regione. Dalla sede nazionale si spiegava che in Sicilia non esistevano più sedi e non c’erano soci o dirigenti ma l’Ancol Sicilia continuava ad organizzare corsi di formazione professionale ed a ottenere finanziamenti regionali. Le indagini delle Fiamme Gialle hanno consentito di scoprire che nella sede siciliana lavoravano la madre di Capone, con una retribuzione mensile di 5500 euro, il padre, circa 3500 euro, il fratello, la cognata e tre cugini oltre a parenti di politici locali e nazionali, come il senatore Mimmo Nania, di consiglieri ed assessori di numerosi centri della provincia tutti di area di centrodestra la stessa dell’ex assessore alla viabilità Melino Capone. Impossibile non ricordare che Capone è atteso da un altro giudice per le udienze preliminari, il 17 dicembre, insieme alla signora D’Urso, sempre per la gestione dei corsi Ancol.