Nina ha quarant'anni circa, un marito adorabile, due spasimanti, tre librerie e cinque figli. Corre senza sosta in quella che chiunque definirebbe una vita perfetta, concedendosi riposo soltanto nella villa al mare. Poi un incontro fortuito in piscina con la giovanissima Eva, un'amicizia che tracimerà in un mondo istintuale inedito e appassionato, un segreto da non confessare nemmeno a se stessa: ecco che Nina verrà progressivamente travolta dagli eventi e dalle emozioni, fino a perdere il filo, a non capire più cosa vuole davvero. Questa la vicenda de “La dittatura dell'inverno” (Mondadori), romanzo d'esordio della messinese Valeria Ancione, attualmente in tour con presentazioni sold out in tutta Italia.
“Ero stata una che aveva esaltato l'impegno a vivere normalmente, senza cose estreme. Senza ricerca dell'eccezionalità, della stravaganza. Volevo essere lineare e limpida. E c'ero riuscita, senza fatica, fino all'arrivo di Eva. La sua presenza aveva sconvolto questa normalità, dentro di me era iniziato un trambusto enorme. Non tanto su cosa volessi fare della mia vita, se e quanto la volessi cambiare, ma il solo fatto di essermi riappropriata di me stessa, o di un angolo di me da non condividere con nessuno, mi strappava dalla banalità”. L'arrivo di Eva fa insomma da catalizzatore per un processo che non chiedeva altro che il segnale di start, o è stato un accidente casuale che ha messo in crisi un sistema di ingranaggi altrimenti perfetto?
Il caso o il destino chissà: di questi Eva però è l'elemento tangibile e vivo. Non credo che qualcos'altro avrebbe potuto “illuminare” così tanto Nina e scuotere la sua normalità. Il fatto è che la realtà non è perfetta e quindi basta niente per fa saltare i meccanismi, anche i più rodati. Forse l'unica perfezione è la capacità di lasciarsi andare, di non resistere, di ascoltarsi. Consapevoli però che le conseguenze possono essere pesanti, dolorose. Nina ed Eva forse si cercavano da sempre. E allora direi che è la fortuna che le ha fatte incontrare e che fa incontrare certe anime gemelle. E non esiste normalità senza colpi di scena.
A proposito di normalità, di linearità, di limpidezza. Sono categorie davvero applicabili alla poliedricità dell'animo umano, o solo modelli sociali precotti che prima o poi rivelano tutti i loro limiti di fronte ad una vita reale?
Sono modelli. Tendiamo a qualcosa che può risultare complicato raggiungere. Soprattutto nell'idea o ideale di famiglia. I farò, i dirò o i non farò mai e dirò mai, sono nella nostra fantasia. La realtà poi indica percorsi diversi dalle supposizioni. Si costruiscono cose che spesso non ci appartengono e prima o poi tutto crolla. Alla fine è il come siamo che vince e prevale e non il come vorremmo essere. Ma per esprimere il come siamo ci vuole coraggio.
Eva è il bello. Quello che nella vita non è programmato o pensato; quello che accade oltre ogni aspettativa. E' leggerezza, freschezza, aria. Gli uomini apparentemente sono il brutto, ma sono “necessari” al dolore di Nina. Funzionali alla sua disperazione. Se all'inizio lo sono per gioco perché gratificano la sua femminilità, poi lo diventano per colmare di vuoto, di nulla, il vuoto stesso in cui Nina piomba quando si separa malamente da Eva. Ho pensato a una strategia per vivere il dolore. E questo è venuto fuori. Darsi via. Mortificarsi. Punirsi. Ma in modo distaccato, astratto. Nina non è. E in quel non essere si dissocia da sé, si vive in terza persona. Professore e direttore possono sembrare squallidi, ma in realtà quando sono con le loro famiglie sono molto diversi; anche loro sono incastrati nei ruoli, hanno bisogno di imporre mascolinità e virilità e trovano in Nina terreno fertile, in quel suo momento particolare.
La vicenda narrata è eccezionale, o potrebbe appartenere, mutatis mutandis, a qualsiasi donna, nel mezzo del cammin della sua vita?
Sembra eccezionale, ma è assolutamente reale. Racconto la semplicità, se vogliamo la banalità dell'amore che appartiene a tutti. Basta cambiare i nomi, metterci quelli che vogliamo e la storia è propria a chiunque. Anche agli uomini, però.
Come Eva per Nina, anche “La dittatura dell'inverno” visto il successo ha sconvolto la tranquilla vita di Valeria Ancione, giornalista sportiva, madre e moglie impeccabile ed impegnata?
Un po' sì, nel senso che sono distratta dal cammino del libro. Lo seguo come si segue un figlio che va da solo, che esce di casa, che deve andare per la sua strada. Cerco il contatto con i lettori. Rispondo a ogni messaggio. Discuto di Nina, Eva, Michele come se esistessero davvero. E intanto continuo a fare quello che facevo prima, forse con una normalità diversa, cogliendo anche io degli insegnamenti da tutte le domande e le risposte che Nina ha avuto il coraggio di porsi e di darsi. A volte penso che scrivere questo romanzo sia stata un'autoanalisi. Di certo sono convinta che in qualunque forma si presenti un'emozione forte, val la pena viverla. Perché siamo, oltre i ruoli, siamo. E questo essere noi stessi a volte ha bisogno di una stanza tutta per noi e questa stanza può essere un segreto, qualcosa che appartenga solo a noi, custodi delle chiavi dell'essere per il divenire.
Eliana Camaioni