Commessa in un negozio di abbigliamento con un contratto part time e uno stipendio da 400 euro al mese. Impiegato in un supermercato che lavora il doppio delle ore che compaiono in busta paga, senza giorno libero e per 800 euro al mese. Segretaria in uno studio che per 500 euro al mese lavora 10 ore al giorno con un contratto a tempo determinato e ovviamente part time. Barista per la stagione estiva, 4 mesi di lavoro con turni di almeno 10 ore al giorno, 900 euro senza l’ombra di un riposo settimanale. Giovani professionisti di ogni settore che vanno avanti a stage, tirocini, gavette infinite e sottopagate per anni. Storie senza nomi perché troppo comuni. Storie che ognuno di noi può ritrovare pensando ad un amico, un conoscente, un fratello. Storie di giovani e purtroppo anche meno giovani, di persone che fanno i conti con quello che c’è e si accontentano. Perché una delle peggiori convinzioni che la crisi economica e il periodo di difficoltà hanno lentamente instillato nelle nostre menti, soprattutto in quelle dei giovani, è che qualsiasi cosa è sempre meglio che niente. Anche perché, purtroppo, sa che se tu lasci c’è già qualcuno pronto a prendere quel posto. Il bisogno di lavoro qui dalle nostre parti è tanto. E approfittare del bisogno è fin troppo semplice. E’ questa forse una delle facce più tristi della disoccupazione, della crisi, del precariato che si è generato: un popolo di lavoratori al ribasso, la cui dignità spesso viene calpestata non principalmente dai datori di lavoro, ma dagli stessi lavoratori che accettano tutto pur di non perdere quella possibilità. Perché di questi tempi, a Messina, in Sicilia, in quasi tutto il sud Italia, non è facile combattere un sistema distorto che ci suona quasi come normale e poi pensare di trovare un altro impiego il giorno dopo. E allora si fanno sacrifici, si accettano paghe e orari che ci stanno facendo tornare indietro nel tempo di decenni, che rischiano di cancellare anni di lotte per i diritti dei lavoratori.
Il Primo Maggio celebra proprio quelle lotte operaie per conquistare il diritto alle 8 ore di lavoro giornaliero. L’Italia poi è stata cambiata dall’autunno caldo del 1969 che scosse tutto il Paese, nel nome di una dignità operaia che chiedeva aumenti salariali, diritti, migliori condizioni di lavoro. Il Primo Maggio ricorda tutto questo. Ricorda che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Ma oggi, al di là del giorno rosso sul calendario, degli slogan e delle riflessioni di rito, si dovrebbe riflettere sul fatto che i problemi da affrontare stanno diventando molto più profondi di quello che raccontano le cronache. Il lavoro che non c’è sta minando le coscienze, annientando i diritti, sta normalizzando gli stipendi sottodimensionati, il surplus delle ore di lavoro, le ferie non pagate o neanche concesse, i contributi non versati. La crisi e l’impoverimento del nostro territorio ci ha portati a pensare solo all’oggi, cancellando la possibilità di fare progetti, di risparmiare per compare una casa, di mettere su famiglia. Senza pensare che così si annientano i sogni di intere generazioni. Quelle stesse generazioni che ormai hanno messo in conto di fare la valigia e partire per trovare un’opportunità migliore, lasciando nella propria terra la famiglia, gli affetti, le radici. Ci siamo rassegnati anche a questo ormai. E’ diventato normale per i nonni di oggi veder crescere i propri nipoti su Skype, è diventato normale che le mamme insegnino a cucinare ai figli tramite le chat di Whatsapp, è diventato normale rivedersi con fratelli e amici di una vita solo a Natale, a Pasqua e in estate, se va bene. E tutto questo sarebbe anche normale se fosse una scelta. Ma non lo è quasi per nessuno. Ecco quindi che il Primo Maggio dovrebbe anche far riflettere sul diritto di scegliere dove poter lavorare e costruire la propria vita.
Forse poi per questo in città un’esperienza come quella del Birrificio Messina risveglia le coscienze e restituisce speranza. La storia di un gruppo di operai che non si sono arresi, si sono rimboccati le maniche e ce la stanno facendo con le proprie forze, ha appassionato i messinesi e chiunque abbia sentito parlare dei 15 operai/imprenditori forse anche perché ha riacceso la fiammella delle opportunità, delle possibilità, dei sogni, mettendo ko almeno per una volta la disillusione.
E allora dedichiamo questo Primo Maggio a chi non vuole girarsi dall’altra parte e far finta che tutto questo non esista. A chi crede davvero che “il lavoro nobilita l’uomo” piuttosto che impoverirlo. A chi continua a lottare per i propri diritti, come gli ex Servirail che da oltre due mesi sono in presidio a piazza Cairoli per riprendersi quel lavoro che gli è stato scippato e che solo per oggi non saranno in quel banchetto perché non lavorano e non hanno niente da festeggiare. Dedichiamo questo Primo Maggio a chi fa sacrifici tutti i giorni, a chi sta entrando adesso nel mondo del lavoro e sa già che dovrà tirare fuori le unghie per ottenere quello che gli spetta, a chi ha perso il lavoro e non sa come comprare un regalo ai propri figli perché a una certa età ti tagliano fuori. Buona festa dei lavoratori, sperando che davvero arrivi il giorno in cui potremo festeggiare un lavoro vero e dignitoso per tutti.
Francesca Stornante