Le storie

Usura. Come vive, e muore, la vittima. Perdendo tutto anche quando la giustizia gli dà ragione

Messina – Storia di R, un infermiere morto troppo giovane dopo aver consumato gli ultimi anni della sua vita a causa dei suoi aguzzini. A costargli casa, famiglia, esistenza, uno strozzino messinese recentemente condannato a 4 anni di carcere. Una sentenza arrivata troppo tardi: la vittima è spirata pochi mesi prima, dopo anni di difficoltà. “Per lui era un processo simbolo – spiega l’avvocato Fabio Mirenzio, legale di parte civile al processo chiuso ora davanti al Tribunale di Messina – la speranza di recuperare un risarcimento materiale non l’aveva più ma era importante per lui ristabilire giustizia dopo aver perso la dignità, oltre a tutto quello che aveva, compresa la sua famiglia”.

Il processo

Il Tribunale di Messina ha condannato a 4 anni di reclusione un 57enne messinese per usura aggravata, assolvendo per mancanza di prove la moglie di 59 anni, inizialmente coinvolta anche lei. La Corte ha anche stabilito una multa da 10 mila euro per lui e una provvisionale da liquidare alla parte civile di altre 10 mila euro.

A denunciare la coppia era stato un infermiere impiegato insieme alla moglie in uno degli ospedali cittadini, finito in un incubo dopo un primo prestito di circa 2 mila euro, nel 2017. L’uomo è morto lo scorso agosto, senza aver ottenuto giustizia in vita quindi, e dopo aver consumato gli ultimi suoi anni tra depressione e alcool, roso dal tarlo di aver deluso irrimediabilmente le aspettative dei suoi affetti, non riuscendo a prendersi cura di loro a dovere.

L’inizio dell’incubo

La vicenda comincia nel 2017 quando i coniugi, malgrado lo stipendio, non ce la fanno più a pagare il mutuo e portare avanti le altre spese di famiglia. Per onorare mutuo e altri prestiti, si rivolgono ad una coppia della loro stessa zona. Disoccupato lui, ex impiegata la moglie, malgrado ciò tutti sapevano nel quartiere che disponevano di molto denaro e lo prestavano, così i vicini indirizzano a loro l’infermiere, che ottiene due mila euro in contanti, da restituire in due rate da 1275 euro ciascuno nei due mesi successivi. “Non sono soldi miei, dietro c’è brutta gente, stai attento a quello che fai altrimenti ammazzano me”, è la “raccomandazione” che gli sussurra l’usuraio, mettendogli in mano il denaro. Facendo molti sacrifici, l’uomo riesce ad onorare il debito. Torna a chiedere quindi altri 2 mila euro, in cambio di due assegni post datati che portano l’interesse ad una cifra complessiva leggermente più alta della volta precedente. Anche questa volta l’infermiere ce la fa a restituire tutto, se pur con sempre maggiori difficoltà e cominciando a scricchiolare psicologicamente, sotto l’insistenza del suo strozzino: per coprire il debito usa la tredicesima della moglie, senza dirle nulla.

Il giogo dell’usura

Ma ha bisogno di altro denaro e a pochi mesi di distanza torna a chiederlo a chi glielo ha già prestato. E che, stavolta, getta la maschera: gli interessi aumentano, il debito da onorare arriva a oltre tre mila euro e quando l’infermiere è in ritardo e si mostra in difficoltà, comincia il pressing e la vittima barcolla: vende l’unica macchina che serviva a tutta la famiglia e restituisce 750 euro ma al creditore non bastano; ne ottiene altri 500 ma anche questi non gli bastano. “Sto venendo a casa tua”, dice l’usuraio all’infermiere che, spaventato, racconta tutto ai carabinieri, che si nascondono in casa e registrano l’incontro. In questa occasione il creditore si allontana senza che accada nulla di brutto e partono gli accertamenti.

Una famiglia ostaggio di pedinamenti e minacce

Ma mentre le indagini fanno il loro corso, il creditore è un uomo libero e il debitore invece “sequestrato”. Dalle parole l’usuraio passa alle minacce: l’infermiere se lo trova fuori dall’ospedale, alla fine del turno del lavoro, si vede pedinato, una volta il creditore prova a speronarlo mentre in auto si reca con la famiglia alla messa domenicale. E’ l’inizio di una spirale sempre più stretta intorno a tutta la sua famiglia, che ormai vive in casa con le serrande abbassate, si nasconde, comincia a disgregarsi.

Una volta per sfuggire ad un pedinamento l’infermiere si rifugia nella prima caserma dei carabinieri che incontra. L’usuraio prende a calci e pugni l’auto parcheggiata fuori e viene portato all’interno dai militari, che lo denunciano per resistenza. Non pago, poco tempo dopo si presenta all’uscita del lavoro con un coltellaccio, minacciandolo apertamente, strattonandolo, mettendogli le mani al collo.

Una esistenza rovinata

Per l’infermiere è una discesa libera, un gradino alla volta: da un lato il pressing del creditore, dall’altro gli viene pignorata e venduta la casa e perde la stima dei suoi affetti più cari, fino alla moglie che si separa. Lui continua a farsi una colpa di tutto, nella sua testa è un continuo: “Non sono riuscito a proteggerli, non sono riuscito a fare fronte a tutto come avrei dovuto”. Intanto parte il processo alla coppia ma, gradino dopo gradino, l’infermiere affoga nella depressione e nell’alcool, finisce al Sert poi in un centro di recupero.

Infine la giustizia, troppo tardi

Fino alla morte, a 58 anni, lo scorso agosto. A portarlo via è una malattia non dovuta ai suoi problemi, ma che gli impedisce di vedere l’epilogo giudiziario del processo che era per lui una speranza di riacquistare una dignità.