Le Linee Guida della Corte dei Conti per l’esame dei Piani di Riequilibrio così recitano: “… la graduazione, negli anni di durata del Piano, della percentuale del ripiano del disavanzo di amministrazione e degli importi da prevedere nei bilanci per il finanziamento dei debiti fuori bilancio deve privilegiare un maggiore peso delle misure nei primi anni del medesimo Piano e, preferibilmente, negli anni residui di attività della consiliatura e comunque nei primi 5 anni”.
Si tratta di considerazioni di buon senso. Troppo facile sarebbe trasferire all’amministrazione successiva l’onere del risanamento. D’altronde tutte le misure che hanno come obiettivo la dislocazione nel tempo del ripiano (si pensi all’allungamento ventennale dei Piani di Riequilibrio o alla ristrutturazione trentennale dei mutui contratti) pongono un problema generazionale perché appesantiscono, soprattutto in tempo di crisi e di riduzione progressiva delle garanzie sociali, le condizioni di partenza delle generazioni che vengono. Il Piano di Riequilibrio del Comune di Messina non rispetta, e di tanto, questo requisito fondamentale. Nella sua prima versione (del. 23/C del 2014), seconda rimodulazione del Piano del Commissario Croce, fallito per la bocciatura del Contratto di servizio dell’Amam, cui seguì la prima rimodulazione di Signorino, presentata per essere bocciata e agganciare la norma che dava ulteriore tempo (poi decaduta), prevedeva nei primi 5 anni un rientro di 138.835.000 euro (34,8% del totale). Per i primi 4 anni (a quel tempo era incluso anche il 2013) la somma scende a 96.030.000 (24,8%). Tolto il 2013 (successivamente abbuonato) si arriva a 87 milioni circa di euro. Il secondo Piano di riequilibrio (2015) prevedeva un rientro nei primi 3 anni di poco più di 70 milioni di euro (18,5%). Il terzo Piano (2016) scendeva ulteriormente a 64.205.000 euro (15,1%). Nel Piano di Riequilibrio che spalmava i debiti in 20 anni (2018) e che non è stato approvato dal Consiglio Comunale sono presenti risultati reali in quanto vengono riportati (fino al 2016) dati conclamati dall’approvazione dei bilanci consuntivi dei primi 3 anni, nel corso dei quali vengono recuperati 62.860.000 euro (15,9%). Dando per buone le previsioni per i due anni successivi si arriva al 33,1%. L’analisi delle misure previste ci dice, però, che dei 62.860.000 per 23.758.000 l’amministrazione non compie alcuna azione: 7.052.000 di euro vengono, infatti, dalla restituzione della penale pagata per lo sforamento, negli anni precedenti, del Patto di Stabilità, 14.361.000 provengono dal contributo che precedentemente al 2013 il bilancio del Comune doveva prevedere per lo smaltimento dei rifiuti (misura che si qualifica già come ingente sottrazione di risorse precedentemente destinate a servizi per la collettività), 2.345.000 dal subentro del Ministero degli Interni ai Comuni nel pagamento dei canoni di locazione degli uffici giudiziari. Le azioni dell’amministrazione si riducono, dunque, a 39.102.000 euro (un misero 9,9%). Su questi si può fare un’analisi qualitativa e si può vedere quanto le politiche del Piano siano contrarie ai presupposti sui quali si era fondata l’esperienza di Accorinti Sindaco: 6.447.000 vengono da riduzione del personale, 4.300.000 da vendita di patrimonio pubblico, 1.374.000 dal servizio idrico (con buona pace dell’acqua bene comune), 2.333.000 dal minore trasferimento al servizio di trasporto pubblico locale (anche se, successivamente, verranno abbuonati 4.7 milioni di debiti dell’Atm col Comune per continuare ad alimentare la narrazione del fiore all’occhiello dell’amministrazione), 7.710.000 da riduzione dei servizi. Complessivamente, si tratta di 22.164.000 euro (il 56,7% delle azioni reali di risanamento, modeste, intraprese dall’amministrazione).
Gino Sturniolo