“In una breve stagione di soli otto mesi, iniziata con le elezioni regionali del novembre scorso e che si concluderà con quelle amministrative di giugno, la città di Messina rinnoverà per intero la propria classe politica. È politica anche la cosiddetta amministrazione di una città, oggi più che mai, perché ogni territorio deve trovare il proprio posto in un mondo interconnesso tecnologicamente, economicamente e socialmente. Quali sono i requisiti essenziali per una buona politica? L’elenco è lungo e certamente opinabile, ma proviamoci. L’onestà è prerequisito irrinunciabile, ma da sola non basta. Un uomo onesto può essere nel contempo onestamente egoista, ignorante o, semplicemente, stupido.
La politica deve guardare al futuro, ma con i piedi ben piantati in terra. Necessita di un animus comunitario, ideale. Rifugge dal grigiore burocratico, promuove senza paura i cambiamenti necessari della società per renderla partecipe delle opportunità offerte dall’evoluzioni economiche e sociali. Non ha un ruolo consolatorio né tantomeno illusionista o moralista. Nello specifico della nostra città, invece di vedere nemici ovunque come Catania o Palermo che le sottraggono qualche posticino di impiegato, si devono privilegiare quelle attività economiche private che sole possono creare occupazione e progresso. Soprattutto quelle turistiche, naturalmente in sintonia con il “genius loci”. Fondamentale accompagnare queste iniziative con politiche pubbliche coerenti in campo urbanistico, nei servizi di trasporto locali e nella nettezza urbana, con una fiscalità non asfissiante e meramente burocratica, che non può continuare a essere un freno fatto di cavilli e di legalismi capziosi, inutili quanto letali per l’interesse pubblico allo sviluppo.
Ci si deve occupare prima di quello che c’è, prendersi cura, pure in assenza di un vero e proprio centro storico, degli edifici di pregio degli anni Trenta, testimonianza importante dell’architettura italiana dell’epoca. Perché non chiamare, ad esempio, quel mecenate dell’arte contemporanea nostro concittadino, Antonio Presti, che tanto ha fatto in Sicilia, a operare nella nostra e sua città? Liberare le spiagge dello Stretto da fognature e pulirle in maniera sistematica, come si fa ovunque, anche in Sicilia. Interessarsi anche delle amministrazioni pubbliche, ma concentrarsi su quelle che realmente fanno di Messina una città: la Corte d’Appello, l’ospedale Papardo, l’università, il Consorzio Autostradale, l’Autorità Portuale. Messina deve ritrovare il proprio ruolo prima di tutto nella Sicilia, regione che ha già un brand appetibile a livello internazionale, ma anche ricercare sinergie con una comunità siciliana che conta più di 5 milioni di abitanti, ricucire il rapporto con Catania, ricca di capitali e di imprenditori. E ancora: integrarsi con l’area milazzese, importante sotto il profilo industriale e, in prospettiva, anche portuale, e coordinarsi sì con Reggio Calabria, ma su temi reali come l’Aeroporto dello Stretto e i suoi possibili approdi molto più vicini ai nostri nuovi a Sud, per risolvere una volta e per sempre il problema dell’attraversamento urbano dei Tir.
Non ci si può ancora disperdere ad inseguire facili illusioni. Eppure, già appare chiaro un dato: nella stragrande maggioranza dei casi il dibattito politico è sempre drammaticamente evanescente. Sia perché sfugge dalla realtà della società cittadina rifugiandosi nel passato o perché salta a piè pari la stessa realtà, proponendo mirabolanti quanto superficiali prospettive eccelse. Il fascino irresistibile dell’evanescenza sta nel fatto che risparmia dalla fatica del pensiero ed esonera da ogni tipo di responsabilità. La spensierata inconsistenza (letteralmente priva di pensiero) di una proposta politica non necessita infatti né di verifiche né di giustificazioni. La cosa divertente, se non fosse drammatica, è che nel panorama delle cosiddette proposte politiche cittadine ci sono varie versioni di evanescenza.
La proposta politica provincialista, burocratica, grigia e passatista vorrebbe riportare in vita un fantasma morto e sepolto da almeno 40 anni (gli anni 80): la città impiegatizia imbottita di posti fissi in amministrazioni che oggi o non ci sono più (il Distretto Militare) o non assumono, soprattutto ai livelli più bassi (il Comune, la ex Provincia, le Poste). Una visione rassicurante nella propria mediocrità, che porterebbe Messina a essere un paesone marginale e depresso, dove la grande dimensione del territorio (55 Km di lunghezza) e quella demografica saranno più un problema che una risorsa. Il fatto è che in generale la città capoluogo di provincia ha perso il suo stesso senso di esistere, in un’epoca dove c‘è Internet e quello che conta è la capacità di fare delle cose che abbiano un reale valore nel mercato globale. Una proposta che alimenta la mediocrità di molti e mortifica la vitalità dei giovani. Prende in giro tutti, perché non si possono riportare indietro le lancette dell’orologio.
La proposta efficientista, classista, superficiale e vanitosa, immagina una Messina città della new economy, delle start up, attrazione delle eccellenze di tutto il mondo, snodo mediterraneo delle più moderne infrastrutture. Immagina, appunto. È ispirata da visioni immaginifiche, non reali. Più che di visioni si tratta di vere e proprie allucinazioni, frutto di deliri di onnipotenza. Uno pseudo-pensiero borioso quanto inconcludente, perché spensieratamente ignaro delle difficoltà del presente e della complessità degli alti obiettivi che propone. Trascura ciò che di buono già c’è e non si occupa di risanare le cose che ha sotto il naso, ma preferisce vagheggiare di temi alla moda. D’altra parte, l’efficienza in sé e per sé è un meta valore, neutro in termini politici, sociali ed etici e la parola, come è noto, deriva dal verbo latino efficere, portare a compimento. Sì, ma che cosa si vorrebbe portare a compimento? In più, l’efficientismo proposto da ristretti circoli di ottimati, professionali o accademici, alimenta il servilismo sociale. Tutte cose incompatibili con l’efficienza?
La proposta politica ambientalista, moralisteggiante, settaria e puerile, vede già la città sulla luminosa strada che porta alle green town e smart city, a essere un faro di pace universale. Non si interessa delle cose terrene, del lavoro, delle imprese, della miseria del popolo (quelli che vivono nelle baracche) e dei giovani che emigrano dove le parole, produzione, mercato, impresa e talento non sono bestemmie ma valori. Blatera di ambiente e di ecologia in una città che è un immondezzaio. Devasta il verde urbano, mentre non si preoccupa di ripristinare l’alberatura delle vie della città-giardino del dopo terremoto. Interdice qualunque attività edilizia sulle colline e al contempo si disinteressa della desertificazione causata dagli incendi.
In ultimo, tutte le tre proposte politiche sono irresistibilmente attratte da due temi ineludibili, proprio perché essi stessi privi di concretezza politica. Possibili, ma non credibili. Evanescenti, appunto. Si intenda, si tratta di temi che hanno piena cittadinanza nel dibattito culturale e civile come scenario futuribile, ma non certamente in sede politico-decisionale, che per sua stessa natura non si occupa di cose ad alto tasso di inattuabilità. Mi riferisco al ponte e alla Città Metropolitana dello Stretto. Per chi lo vuole, il ponte è un pio desiderio, un miraggio. Infatti, né il Comune né la Città metropolitana di Messina e la Regione Siciliana hanno poteri e competenze decisive sul tema. Insomma, vogliono, ma non possono. Per chi non lo vuole il Ponte è un incubo, ma niente di più. Non lo vogliono, ma non c’è. Tutti prendono posizione su una cosa che non c’è e che, fra l’altro, non ha una ragionevole credibilità dopo 50 anni di inutili palleggi governativi. Nessuno in città ha il potere per farlo o per non farlo fare. Sul piano politico quindi, è evanescenza allo stato puro.
La Città metropolitana dello Stretto continua ad aleggiare nel dibattito politico cittadino senza che ci siano atti ufficiali di concreto impegno, soprattutto della sponda calabrese, in tal senso. D’altronde, la Calabria ormai, guarda se stessa, avendo conseguito per sé una centralità mediatica e politica che non aveva, un’università, la sede di nuove amministrazioni statali e non è più la parte depressa di una vasta area della quale Messina era di fatto il capoluogo. E in ogni caso, in questo auspicato scenario metropolitano, chi ce lo assicura che Reggio Calabria, oggi rampante, non surclassi Messina ferma nella sua pretenziosa inconsistenza ed evanescenza (vedi l’Autorità Portuale)? Un non tema politico, testimoniato oltre tutto dal fatto che per attuarla ci vorrebbe addirittura una riforma della Costituzione italiana”.
Pierangelo Grimaudo