Le dimissioni di Cateno De Luca, ad appena 3 mesi, massimo 3 mesi e mezzo dalla sua elezione, sarebbero incomprensibili per una serie di motivi.
Iniziamo dai rapporti con il consiglio comunale, che è indiscutibilmente di valore superiore rispetto al precedente, sia nei contenuti che nelle modalità di esercizio delle proprie funzioni. Vi sono tra l’altro un buon numero di consiglieri di alto livello, preparazione, competenza, capacità di leggere atti, proporre indirizzi, vigilare.
Che De Luca non avrebbe avuto nessun “suo” consigliere in Aula lo si sapeva sin dalla settimana del ballottaggio. Che le altre liste e coalizioni, avversarie di Bramanti (centro sinistra e M5S) avrebbero votato De Luca per aumentare il numero dei consiglieri in Aula lo si sapeva allo stesso modo.
Lo scenario attuale quindi era ben noto e poteva (e può rappresentare) anche una sperimentazione: un Consiglio e un’amministrazione che pur non essendo dello stesso “colore”, operano in sinergia nell’interesse della città.
Né si può dire che i consiglieri abbiano fatto la guerra al sindaco, né tacita né espressa.
Tutt’altro. Vogliono semmai che venga riconosciuta l’autonomia e la dignità del loro ruolo.
Il tira e molla sulle dimissioni non giova a nessuno, inasprisce i rapporti con l’Aula e fa passare in secondo piano i percorsi che sono stati avviati sia dall’amministrazione che dal consiglio comunale. Il confronto è il sale della democrazia, nessun sindaco può pensare di avere un’Aula che “obbedisce” ad ogni suo volere.
D’altra parte è evidente che un’amministrazione che ha ritmi come quelli che stiamo vedendo in questi mesi, non può restare impantanata in vecchi riti politici, ma non è quello che si sta verificando.
De Luca non può chiedere al consiglio comunale di seguire i ritmi di un sindaco che inizia le riunioni alle 5 del mattino e finisce alle 2 di notte e nel contempo il consiglio non può chiedere all’amministrazione di accettare pazientemente fiumi di sedute senza concludere niente.
Finora però, da cronista che negli ultimi decenni ha visto spettacoli indecorosi, non si può assolutamente dire che l’Aula voglia fare “melina”. Anche la proposta di LiberaMe per le modifiche al regolamento è condivisibile e molto simile a quella del sindaco.
Uno strappo adesso non sarebbe compreso dagli elettori. Comporterebbe inoltre un commissariamento di otto, nove mesi, che per la città equivarrebbe alla fine. Si tratterebbe del quarto commissariamento in 13 anni ed anche se il consiglio non dovesse decadere la città sarebbe comunque privata di un’amministrazione.
Se la situazione dei conti è tale da preoccupare il sindaco che teme non vi sia la dovuta attenzione da parte dei consiglieri, si apra il confronto su questo.
L’operazione risanamento è appena iniziata, il governo nazionale valuterà, di concerto con la Protezione civile, la dichiarazione dello stato d’emergenza, la macchina riorganizzativa del Comune e delle Partecipate è ancora alla prima fase embrionale, interrompere un mandato appena iniziato è un errore anche in termini di consenso elettorale. I rapporti con la deputazione sia nazionale che regionale, per la prima volta dopo tanti anni, sono sinergici e collaborativi, gli incontri avvengono a cadenza periodica. L’amministrazione ha il sostegno del governo regionale su numerose battaglie ed anche il governo nazionale non è ostile.
Se strada facendo i rapporti con l’Aula dovessero realmente diventare problematici potrà prendere le decisioni che ritiene più opportune, ma in questo momento, le dimissioni sono incomprensibili, illogiche e inopportune.
Rosaria Brancato