Gentile redazione,
dopo aver letto l’articolo pubblicato dal vostro quotidiano, mi trovo costretto ad esercitare il mio diritto di replica a causa di una serie di passaggi esposti nell’articolo in oggetto, passaggi non aderenti alla realtà dei fatti.
Nell’articolo in questione, l’editore del vostro quotidiano, il sig. Pippo Trimarchi, prova evidentemente a riconciliarsi con i propri lettori. Al netto della legittima rivendicazione di totale “libertà” esposta dall’autore dell’articolo, nel testo però emergono alcuni passaggi sui quali è doveroso fare chiarezza.
Il sottoscritto, recependo pienamente la strategia comunicativa realizzata dall’esperto a cui ha affidato la responsabilità di gestire questa campagna elettorale, ha deciso di non investire un solo euro in pubblicità elettorale da destinare a televisioni, radio, quotidiani cartacei e siti d’informazione online. Una scelta mirata, trasversale, fondata sulla convinzione che l’acquisto di banner a pagamento, in particolare sui siti d’informazione online e sui quotidiani cartacei, sia una strategia poco funzionale alla sponsorizzazione di una candidatura. Anzi: una strategia superata.
Abbiamo ritenuto funzionale sfruttare esclusivamente i mezzi che potessero permetterci di arrivare direttamente agli utenti online attraverso contenuti autoprodotti. Rinunciando, per scelta, agli spazi offerti dalla stampa.
I numeri ci hanno dato ragione: investendo poche decine di euro in Facebook “Ads”, i nostri contenuti hanno ottenuto centinaia di migliaia di visualizzazioni, e migliaia tra condivisioni e commenti.
Nessun trattamento esclusivo, quindi, è stato riservato a Tempostretto, perché nessun giornale, nessuna radio, nessuna tivù, nessun sito internet ha ricevuto un solo euro dal sottoscritto nel corso di questa campagna elettorale. Nessuno. Il motivo di questa scelta è figlio di una convinzione: viviamo in un mondo “disintermediato”, in cui, per promuovere una campagna elettorale, sfruttare i contenitori offerti dagli organi di stampa non è più, piaccia o meno, un “passaggio obbligato”.
Questo segnale di discontinuità rispetto al passato, vuole essere per il sottoscritto non solo un modo per rivendicare il potere dell’innovazione, ma anche una strategia attraverso la quale si potesse manifestare una distanza siderale rispetto all’idea che il rapporto tra politica e stampa possa in qualche modo essere influenzato dagli investimenti pubblicitari indirizzati dai politici verso gli organi d’informazione. Questo è il passato, un passato da seppellire per sempre.
Detto questo, chiudo con una riflessione maturata nel corso della lettura dell’articolo in questione: è stata l’ennesima occasione per manifestare una visione, la vostra visione, evidentemente pregiudizievole rispetto ai motivi che mi hanno indotto a candidarmi. In continuità con l’indirizzo editoriale riservato all’evento del 22 settembre, quando ho ufficializzato la mia candidatura. Poco o nullo lo spazio riservato in quell’occasione ai contenuti che ho espresso sul palco. Tanti, troppi i luoghi comuni e le forzature giornalistiche snocciolate negli articoli e nelle interviste a corredo. “Arancini”, “prova di forza, “guanto di sfida”. Poco altro. Dice bene il signor Trimarchi: chi si indigna sui social perché Tempostretto avrebbe sponsorizzato la mia candidatura, evidentemente si è limitato solo alla lettura dei titoli degli articoli e dei servizi. Se avesse cliccato sui contenuti, avrebbe pensato altro: avrebbe pensato l’esatto contrario. Per meglio esplicitare questa scelta editoriale, basterebbe leggere l’articolo su cui sono stato costretto a intervenire. L’invito, neanche troppo velato, a non votare Luigi Genovese è un trattamento “esclusivo”, non riservato a nessun altro candidato all’Assemblea Regionale Siciliana. Un modo quantomeno discutibile di interpretare una dimensione nobile qual è di certo quella giornalistica. Lungi da me affermare che la posizione dell’editore di Tempostretto, che parla di “richiamo del capo”, di “strumenti di captazione che fanno breccia sulle fasce più deboli” e poi invita i suoi lettori a “decidere in piena libertà”, sia frutto di una reazione infastidita legata alla nostra scelta di escludere le testate giornalistiche, compresa la sua, dagli investimenti pubblicitari. Ci mancherebbe.
Cordialmente,
Luigi Genovese