Non esiste più l’Università di Messina. Cenere sul nostro Orto Botanico

Tornano gli spagnoli e si ripresentano gli stessi problemi che avevano contribuito ad animare la rivolta. Con stupore è stata appresa dal vicerè, il generale Gonzaga, duca di Mantova, la richiesta della conferma dei privilegi, in materia fiscale, da parte del senato messinese.

Come naturale che accadesse, non si è fatto attendere il rifiuto spagnolo. Il re di Spagna, Carlo II d’Asburgo, figlio di Filippo IV e Marianna d’Austria, e il vicerè non hanno infatti dimenticato le enormi spese cui la Spagna è stata costretta nel corso della rivolta.

L’esercito versa in condizioni allarmanti e fra le sue fila non si contano più le note di disapprovazione per il mancato pagamento degli stipendi.

Messina, in questo contesto, è stata additata come la causa principale del malcontento e del dissesto finanziario in atto. In questo senso si spiega la decisione del generale Gonzaga di trattare Messina come una città conquistata.

All’ordine del giorno, infatti, è stato ordinato lo scioglimento del consiglio comunale elettivo. La città è stata sollevata da ogni forma di autorità sui villaggi al di fuori delle mura. Infine ha destato scalpore l’abolizione delle esenzioni fiscali delle quali tutta la città ha goduto sino ad oggi.

Un colpo durissimo è stato inferto anche alla nostra università, fiore all’occhiello di una città alla ricerca di una maturazione culturale per lungo tempo aspettata e per la quale, oggi, non vediamo futuro.

Se le idee non possono essere colpite, se il desiderio di conoscenza non può essere fermato, tutta la furia spagnola si è riversata sul nostro Orto Botanico, istituto a lungo voluto e alla fine ottenuto dalla nostra Università.

L’istituto fondato nel 1638, diretto per anni da Pietro Castelli, ex direttore degli Orti Farnesiani di Roma, che al proprio arrivo in città si era detto felicissimo della nuova ed entusiasmante avventura, è stato distrutto.

Le numerose specie esotiche, raggruppate in quattordici “hortuli-, tutto il lavoro compiuto dal suo successore, Marcello Malpigli, è solo un lontano ricordo.

Sull’Orto Botanico si è riversato tutto il disprezzo spagnolo.

Nulla si è salvato, lo spazio che un tempo ospitava le più strane e sconosciute specie arboree, è stato adibito al pascolo di cavalli e successivamente utilizzato come campo per la coltivazione di bietole.

Viene da chiedersi dove sia andata a finire la ragione e il buon senso. Anni di duro lavoro, di sacrifici sono stati distrutti in pochissime ore. Quale futuro?

Potrà un giorno il nostro Orto Botanico risorgere? Potrà la nostra università riprendersi ed essere nuovamente mezzo di arricchimento per i nostri giovani?