Con la terza giornata si conclude il Festival etneo di musica rock. Calexico protagonisti assoluti di una serata magica tra riflessioni personali sulla sicilianità e noise made in Taiwan.
La terza, ed ultima, giornata di Festival ha inizio in una torrida mattina di luglio. Alle 13,00 un insolito appuntamento nel parco Gioeni: picnic con il maestro Brigantony. Si, Brigantony, il cantante folk dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. In un’atmosfera assolutamente rilassata, l’icona pop catanese intrattiene i presenti con i suoi classici più celebri, irriverenti ed ironici. Proprio mentre mi godo la gaiezza e l’inverosimiglianza del momento, mi sorgono spontanee delle riflessioni: Catania è la terra che ha dato i natali a Franco Battiato, venerato maestro della musica d’autore italiana, apprezzato in ogni angolo del mondo. Catania è la terra che ha dato i natali a Brigantony, idolo delle folle, mito indiscusso di una tradizione canzonatoria e cialtrona tutta siciliana. Ecco, forse, la grandezza di una città, ma potrei dire anche di una terra, la Sicilia: produrre personalità poliedriche, eclettiche, dotate di una qualche genialità, seppure diversissime tra loro e farle coesistere in una surreale armonia. Un altro siciliano, Leonardo Sciascia ne “La scomparsa di Majorana” scrive: “Come tutti i siciliani « buoni », come tutti i siciliani migliori, Majorana non era portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi (sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della « cosca »)”.
In nome di questa unicità, la stessa che il sopracitato Battiato canta ne “Le aquile non volano a stormi”si dipana il mistero della Trinacria: punto fermo nel mare, incontro di culture, contaminazioni, luogo morbido e accogliente, ma anche restìo e diffidente, angolo di mondo dove incuria, incostanza e incanto si annientano tra di loro quotidianamente. La luce dell’isola sgorga da qui, dagli uomini che decidono di non aggregarsi alla cosca, che sia quella mafiosa o quella intellettuale del circoletto autoreferenziale dei quattro sapienti.
Mentre mi perdo tra le riflessioni sulla mia terra giunge la sera. Proprio in nome del cosmopolitismo musicale di cui il festival Zanne è fermo sostenitore, ad aprire il concerto arriva una band di Taiwan, gli Skip Skip Ben Ben, tre ragazzi dalla potenza scenica non indifferente. La cantante sembra uscita da un rape and revenge nipponico, con le sue sembianze a metà tra il manga e l’allure rockettaro da chitarrista consumata tutta urletti e chitarre distorte. Il noise degli Skip Skip è gradevole, non è pretenzioso e rende evidente l’amore per la musica di questi ragazzi che si spendono anima e corpo sul palco, dando vita ad uno spettacolo divertente. Poi è il momento dei Calexico, band americana di confine (fondata da Joey Burn e John Convertino), dalle influenze texmex reinterpretate in raffinate suggestioni rock.
I calexico decidono di improntare il concerto sulle atmosfere mariachi e un po’ da road movie di “Carried To Dust”, lasciando da parte, probabilmente, la vena più psichedelica di “Feast of Wire”. Il risultato, due ore di puro spettacolo tra chitarre, contrabbasso, percussioni, trombe e maracas che accompagnano il pubblico lungo una strada immaginaria attraverso il deserto dell’Arizona. Un viaggio bellissimo con alcune sorprese lungo il cammino: un omaggio a Ian Curtis, con una interpretazione di “Love Will Tear Us Apart” e una cover (davvero all’altezza) della meravigliosa “Bigmouth Strikes Again” degli Smiths.
Si conclude così un Festival prestigioso, una nuova, bella realtà per il panorama culturale siciliano.
Giuseppina Borghese