MESSINA – Cadmio, mercurio e piombo. La triade di metalli più pericolosi per l’uomo e per l’ecosistema. Sono i metalli pesanti in concentrazione maggiore rispetto alle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) ritrovati nella Zona Falcata. Questo l’esito delle indagini preliminari sull’inquinamento dell’area, frutto della convenzione con l’Università di Messina.
Tre sono gli allegati propedeutici al piano di caratterizzazione: l’affidamento dei carotaggi e le prove di permeabilità (affidate alla Georas); il campionamento e le analisi chimiche (affidate a Natura spa); le indagini con rilievo Lidar – Laser Imaging Detection and Ranging (affidate a Geologis).
E i dati più interessanti arrivano dalle analisi chimiche di 17 campioni di suolo e 5 campioni di acqua. Il risultato in poche parole? Quello che ci si aspettava: “si registra una seria contaminazione di tutta l’area interessata dalle indagini”.
Non solo cadmio, mercurio e piombo. Nel suolo sono state rilevate diverse sostanze inquinanti. “Per quanto riguarda i campioni di acque piezometriche, sono stati rilevati sia inquinanti inorganici (Boro, Ferro, Manganese e Solfato) che organici (Benzo(a)Pirene e Benzo(g,h,i)Perilene). La tossicità è particolarmente pericolosa specialmente in relazione alla breve distanza del sito dalla costa e, conseguentemente, alla loro possibile diffusione verso l’ecosistema marino”.
I rischi? “Il bioaccumulo nei pesci, l’organicazione dei metalli nei sedimenti marini, la solubilizzazione lungo la colonna d’acqua. Conseguenze molto pericolose per l’uomo e per il resto dell’ecosistema marino”.
Ma perché la Zona Falcata è così inquinata? Anche questo si sapeva già ma è arrivata la conferma. E’ dovuto alla scelta scellerata, nel tempo, di farne un’area industriale, invece che storico-culturale-turistica. Industrie che hanno dato lavoro ma che dovevano essere realizzate altrove, non nell’area più pregiata della città.
“Ad esempio, l’elevata concentrazione di boro potrebbe essere dovuta a reflui urbani contenenti detergenti e alla presenza di idrocarburi pesanti”.
Ma non solo. Chiunque andava nella Zona Falcata a fare i propri comodi. E così il valore SumDiox potrebbe essere determinato dalla combustione non controllata di materiale plastico.
Gli studi realizzati sono importanti anche perché hanno permesso di realizzare una “nuova base cartografica basata su un volo da drone da cui si è tratta una aerofotogrammetria di dettaglio e un Data Elevation Model (Dtm) che permette l’uso digitale del supporto cartografico”. E si vanno ad aggiungere alle indagini già effettuate negli anni 2009 e 2010 nelle aree dell’ex inceneritore, dell’ex degassifica, dell’ex campo sportivo e dell’Eurobunker.
Il rilievo LiDAR ha permesso invece di realizzare un 3D di ogni singolo edificio presente nell’area e quindi di calcolarne la superficie e il volume fuori terra. Gli edifici nell’area di interesse sono undici e hanno una cubatura di 48mila metri cubi.
Il prossimo passo è ora la caratterizzazione dei materiali inquinanti. Poi si potrà fare una stima dei fondi necessari per la bonifica, previsti in diverse decine di milioni. E solo dopo la bonifica si potrà pensare a restituire alla Zona Falcata il ruolo che le spetta, a farne un’area degna di essere visitata e vissuta.
Passeranno ancora anni, serve tempo per i progetti e trovare i fondi necessari non è immediato. Ci si muove a piccoli passi: l’inceneritore e la degassifica non ci sono più, c’è una strada dignitosa per arrivare fino alla Madonnina, sono state demolite piccole parti che non avevano ragione di esistere. Tutte opere dell’Autorità Portuale, che ora ha anche un piano regolatore che disegna il futuro di quell’area, adesso anche in sinergia con la Soprintendenza. Ancora poco ma, rispetto all’immobilismo del passato, sono passi da gigante.
(Marco Ipsale)