MESSINA – Sono passati 21 anni. Il ricordo è vivo, fa ancora male. Ma quel che fa ancora più male è che non si può voltare pagina una volta per tutte. Perché se anche il tempo ha pian piano ricucito le ferite, ci ha pensato la lungaggine giudiziaria a trascinare e rinnovare ogni volta lo stesso dolore. Il 27 settembre di 21 anni fa moriva la famiglia Carità.
Nino, Maria e la figlia Angela tornavano in auto verso la loro casa nella parte alta dell’Annunziata. Quel pomeriggio una bomba d’acqua trasformò il torrente in una valanga di fango e detriti. La loro auto fu trascinata giù. La figlia Angela fu ritrovata intrappolata tra le lamiere, i corpi dei genitori Nino e Maria vennero trascinati e ritrovati in mare. Quel giorno poco più in là sul torrente Pace la stessa fine toccò al giovane cingalese Simone Fernando. Il suo corpo non fu mai trovato.
Un anniversario che ogni anno è giorno di ricordo e memoria. Ma che anno dopo anno è diventato un macigno sempre più pesante.
“La perdita di una famiglia non si può cancellare. È mancato tutto in questi anni, un abbraccio, una parola di conforto, un sorriso. Nessuno ce li potrà mai restituire. Ma perché dobbiamo ancora continuare a subire anche le conseguenze di una giustizia che sembra non voler arrivare? Perché?”.
Sono le parole di Giovanni Carità che insieme alla sorella Giovanna ha perso tutto quel 21 settembre 1998. Iniziarono la loro battaglia giudiziaria. Il processo penale durò 13 anni e alla fine arrivarono le condanne per i responsabili di una tragedia che forse non sarebbe accaduta se fossero stati fatti gli interventi che servivano per mettere in sicurezza il torrente Annunziata. Poi iniziò il processo civile. Doveva essere quasi una formalità dopo tre gradi di giudizio in sede penale e una sentenza della Cassazione molto dura. Eppure sono trascorsi altri 7 anni. Ogni volta un giudice diverso. Rinvii, riserve, continui ostacoli.
“Finora sono stati cambiati sette giudici e ancora oggi continuiamo ad aspettare. Ci manca solo la sentenza che ci riconosca il risarcimento danni per la morte della nostra famiglia. Ad oggi non sappiamo neanche a quanto ammonterà il “valore” della nostra perdita. Non serve a niente perché nessuno ce li restituirà mai. Però basta, abbiamo bisogno di mettere la parola fine per non rivivere ogni volta con amarezza il dolore che ci portiamo nel cuore. Loro sono i nostri angeli ed è solo così che voglio pensare a mio padre, a mia madre, a mia sorella” dice Giovanni.
Un processo infinito che a tratti ha il sapore della beffa. Nessuno ha mai chiesto loro scusa per ciò che è accaduto. Nessuno si è mai pentito. Nessuna Istituzione gli è stata accanto.
A combattere con loro c’è l’avvocato Aurora Notarianni. E hanno l’affetto di una comunità che anche nel giorno del 21esimo anniversario si è stretta attorno a loro.
Per ricordarli, Mons. Vincenzo D’Arrigo ha officiato una messa nella parrocchia Santissima Maria Annunziata. Una celebrazione intensa, commossa, perché anche mons. D’Arrigo 21 anni fa visse quella tragedia sulla sua pelle. Dall’altare ha dedicato parole toccanti alla famiglia Carità. Ha raccontato di quanto il papà Nino fosse sempre pronto ad aiutare tutti, “livellando” le differenze. Nelle sue parole le ore terribili in cui la famiglia Carità non si trovava e lui fu tra quelli che convinse i soccorsi e le Forze dell’ordine a non fermare le ricerche. Ha rievocato dettagli e immagini del momento in cui riaffiorò dal fango il corpo della giovane Angela. Spogliata dalla furia dell’acqua, ma senza neanche un graffio sulla pelle. E poi i giorni successivi, quel libro ancora aperto sulla scrivania su cui la giovane stava studiando. La fiaccolata sul viale Annunziata fino al luogo in cui era accaduta la tragedia.
“Quella sera gettammo le candele accese nel torrente per illuminare il ricordo delle vittime. La mia però l’avevo tenuta con me. L’ho custodita per 21 anni nella mia stanza. Adesso è il momento che la teniate voi” ha detto commosso prima di consegnarla a Giovanni perché il mese prossimo finisce il suo mandato nella parrocchia dell’Annunziata.
Dall’altare anche un accorato appello per la vicenda giudiziaria: “È giusto che abbiano finalmente ciò che gli è dovuto”.
Giovanni spera che questo sia l’ultimo anniversario segnato anche da questa amarezza. Per poter andare avanti e non riaprire ogni volta questa ferita che ha segnato la sua vita e quella di sua sorella.
Francesca Stornante