MESSINA – “Sono nato a Tripoli nel 1999 e sono qui in Italia da quasi sette anni. Sono originario del Togo ma ho sempre vissuto in Libia, prima d’incarbarcami per raggiungere il porto di Messina all’età di diciassette anni. Lì, in una Libia in guerra, ho perso mia madre. Le hanno sparato quando avevo 12 anni. La mia vita non è stata facile. E io, che non ho mai conosciuto mio padre, sono stato costretto a imbarcarmi, a tentare il viaggio della fortuna con un barcone”. Sheriff Nurudeen oggi fa il mediatore culturale. Collabora con la prefettura e aiuta chi, come lui, è arrivato qui dopo un pericoloso viaggio in mare. Racconta la sua storia con la serenità di chi è riuscito a costruirsi una nuova vita a Messina.
Spiega il giovane: “Imparare la lingua, le regole e le abitudini, magari diverse dal proprio luogo d’origine…. Non è facile per chi arriva integrarsi subito. Io lo posso capire e do una mano. Bisogna avere pazienza con le persone che scappano da guerre o che hanno necessità economiche”.
Una volta arrivato a Messina, Sheriff Nurudeen ha frequentato le medie e le superiori (lo “Jaci”) , accolto in una struttura per minori non accompagnati. Oggi è padre di una bambina e dice di trovarsi bene in città. Se il tema sbarchi dei migranti imperversa nella cronaca, lui lo vive dal punto di vista di chi chi sa cosa significa sentirsi soli e disperati, pronti a tutto per raggiungere una vita migliore. Come mediatore, lavora con passione, parlando l’arabo e inglese, oltre ad alcuni dialetti dell’Africa Ovest.
Il sogno di Sheriff è quello di tornare nel Togo per ricercare le orme del padre, mai conosciuto, e fare conoscere alla figlia le sue radici. Radici che lui stesso ignora, dato che Tripoli e Messina sono le “sue” città. Ogni tanto gli piace inframmezzare la conversazione con parole dialettali messinesi e ci tiene a insistere sulla “pazienza” che occorre, “soprattutto con i giovanissimi migranti”, quando arrivano, spauriti, in Italia.