Operazione “Inter Nos”, 17 misure cautelari (9 persone in cella, 7 ai domiciliari, una sospesa dall’esercizio dei pubblici uffici) per torbide cointeressenze in Sanità.
Tra gli interessati alle misure, manette per il direttore Risorse finanziarie dell’Asp di Reggio Calabria Giuseppe Corea, domiciliari per il consigliere regionale già in forza all’Udc e da tempo vicino alla Lega Nicola Paris, sospeso dal servizio il reggente dell’unità operativa complessa Gestione tecnico-patrimoniale sempre dell’Azienda sanitaria provinciale reggina Giuseppe Giovanni Galletta.
Gli appalti per i servizi di pulizia e sanificazione da circa vent’anni finivano sempre nelle stesse mani: aziende nell’orbita di varie ‘ndrine di Reggio città ovvero di clan come gli Iamonte (Melito Porto Salvo) o i Cataldo e i Cordì (per l’ex Asl 9 di Locri).
Una situazione resa possibile, secondo la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia reggina guidata da Giovanni Bombardieri – che ha coordinato il blitz eseguito dalle Fiamme gialle -, dalle continue proroghe e dal perpetuarsi del potere e della posizione di svariati funzionari dell’Asp di Reggio Calabria, a dispetto dell’avvicendarsi di commissari, Direzioni strategiche e commissari governativi per il Piano di rientro.
In quest’àmbito, tra gli indagati a piede libero figurano pure ex commissari straordinari della medesima Asp come Rosanna Squillacioti (ex sindaco di Montauro, nel Catanzarese) e l’oggi vicesegretario regionale di Cambiamo! (il partito di Giovanni Toti) ed ex assessore comunale ai Lavori pubblici Franco Sarica.
Quello che era stato eretto da diversi lustri era un vero e proprio “Sistema”, hanno spiegato inquirenti e investigatori in conferenza stampa, stamane alla caserma “Caravelli” della Gdf.
Questo fa sì che, ha argomentato il procuratore distrettuale Bombardieri, ci si trovi di fronte a svariate ipotesi di reato.
Sarebbero stati consumati diversi episodi di corruzione, con un vero e proprio fondo cassa che veniva rimpinguato periodicamente «per poter meglio “ungere”
le “ruote” della Pubblica amministrazione»,
insomma ottenere indebiti vantaggi negli appalti. Con picchi davvero
incredibili: l’appalto per le pulizie del 2013 si conclude nel 2016 con l’attribuzione
a un’Ati, un’associazione temporanea d’imprese. Il famoso «consorzio» di cui già diversi anni prima – nel 2008 – affaristi di
varia matrice confabulavano.
Ma c’è anche da dire che la stessa “organizzazione” sapeva ben distinguere tra le varie malefatte da compiere. Alcune, secondo le ipotesi investigative, erano quelle “pesanti”, che necessitavano dell’apporto di personaggi ritenuti affiliati o direttamente riconducibili ai clan. E allora ci si rivolgeva ad Antonino e Domenico Chilà per il capoluogo di provincia, a Mario Carmelo D’Andrea per Melito Porto Salvo, a Silvio Floccari per Locri. Altre, invece, incarnavano “solo” reati più lievi: ed ecco il “doppio forno”.
In quest’ultimo caso, cioè, il «consorzio» operava in autonomia, senza necessità di coinvolgere le ‘ndrine. O, per usare le parole del procuratore, quelli che in Gotha sono stati definiti i «mostri» per i notevolissimi contatti e capacità d’infiltrare e ammalorare la Pubblica amministrazione.