Il clan Brunetto era dominante a Giarre, Mascali, Fiumefreddo, Castiglione e nel quartiere Picanello di Catania. Il quartiere Jungo, a Giarre, era piazza di spaccio. I carabinieri hanno ricostruito le turnazioni tra i pusher e le vedette, il loro compenso, il mantenimento delle famiglie dei detenuti, i canali di approvvigionamento e i luoghi dove veniva nascosta la droga, con un incasso giornaliero di diverse migliaia di euro, le eventuali vie di fuga, tutto confermato da alcuni collaboratori di giustizia.
Sequestrati 40 kg di marijuana, 2 kg e mezzo di cocaina, 200 grammi di eroina, 3.850 euro in contanti, un motorino rubato, un fucile, 4 pistole e 218 munizioni, usate per estorsioni e intimidazioni mafiose, un immobile a Mascali edificato con guadagni illeciti, un autocarro usato per trasportare droga.
Associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, detenzione e spaccio di stupefacenti, estorsione aggravata dal metodo mafioso, lesioni aggravate dal metodo mafioso. Sono i reati di cui sono ritenute responsabili 46 persone (42 catanesi e 4 messinesi), arrestate stamani dai carabinieri di Catania, Messina, Trapani e Rimini, su ordinanza emessa dal giudice del Tribunale di Catania e richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catania.
La direzione e gestione della piazza di spaccio era riconducibile alla famiglia Andò, capeggiata da Giuseppe, inteso “U cinisi” (il cinese), 59enne venditore ambulante nella frazione giarrese di Trepunti, il quale, insieme a figli e nipoti, si occupava di tutti gli aspetti del mercato illecito, anche di reclutare i pusher, spesso giovani residenti nel quartiere Jungo. La collocazione del suo camion non era casuale, poiché gli permetteva di controllare i movimenti delle pattuglie nel primo e più importante incrocio cittadino dopo l’uscita autostradale e fungeva da base per incontrare altri sodali, fornitori di stupefacenti, creditori, membri di altri clan o per convocare pusher “indisciplinati” nei turni e punirli con detrazioni dello stipendio, corrispondente a circa 250 euro a settimana.
Giuseppe Andò è inoltre emerso essere il referente pro tempore del clan “Brunetto-Santapaola” su Giarre, stante la detenzione di Pietro Oliveri, detto “Carmeluccio”, quest’ultimo considerato indiscusso erede del defunto boss Paolo Brunetto. “U cinisi”, secondo quanto evidenziato dalle indagini, risultava recepire da “Carmeluccio” le indicazioni sulla gestione degli affiliati e sul mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie.
Le investigazioni portavano alla luce anche una serie di attività estorsive poste in essere dai sodali, in cui le parti offese, per paura, non intendevano denunciare nemmeno quando convocate dai carabinieri. Il gruppo rivendicava il ruolo di “autorità mafiosa” di riferimento a cui chiedere il benestare per avviare attività imprenditoriali, in particolare il montaggio itinerante di giostre (“prima che entri il camion lì dentro, devi venire a parlare con me!”), ipotizzando ritorsioni in caso contrario: “Se monta gli brucio tutte cose!”.
Durante una delle perquisizioni nei covi, è stata trovata una schedatura dei votanti del popoloso quartiere “Jungo”, verosimilmente per controllare il voto nelle sezioni lì dislocate.
38 persone sono state portate nelle carceri di Catania, Messina, Siracusa e Caltanissetta; 6 erano già detenute per altra causa; 2 sono state poste ai domiciliari.