REGGIO CALABRIA – “Caso Miramare”, al di là di quanto affermato in conferenza stampa, al termine del lavoro della Commissione consiliare Controllo e Garanzia del Comune di Reggio Calabria siamo davanti a un documento che poteva essere la relazione finale approvata da tutti.
…O no?
In realtà, mentre la relazione estrae tutt’una serie di fatti e documenti di sicuro interesse, difficilmente si può dire esistessero i presupposti politici per un suo varo a voti unanimi. Giacché il testo appare, dalla prima parola all’ultima, un implacabile atto d’accusa nei confronti della maggioranza.
Per parte loro, i consiglieri di centrosinistra prima hanno disertato una precedente riunione di Commissione – per questo riconvocata per martedì 5 aprile –, poi hanno bocciato l’atto senza appello.
Centrali, ovviamente, le mancate dimissioni del sindaco sospeso Giuseppe Falcomatà e degli altri amministratori condannati in primo grado di giudizio, lamentate dalla minoranza di centrodestra e dallo stesso presidente della Commissione consiliare Controllo e garanzia Massimo Ripepi, capogruppo di Coraggio Italia a Palazzo San Giorgio.
Ma dimettersi era un atto da compiere o meno “a discrezione” del singolo interessato? Stando alla relazione, assolutamente no.
Questo soprattutto in relazione alle previsioni del Codice etico per la Buona politica di Avviso pubblico, recepito – con modifiche – dal Consiglio comunale reggino il 14 giugno del 2016 con deliberazione numero 33. Tra quanti votarono a favore, si rimarca per l’ennesima volta, l’allora primo cittadino in pienezza di poteri Falcomatà, l’oggi sindaco facente funzioni Paolo Brunetti, l’oggi presidente del Consiglio comunale Enzo Marra.
Peraltro, il dettato della delibera, richiamando la “legge anticorruzione” (legge numero 190 del 2012), viene considerato «atto amministrativo esecutivo delle disposizioni di una legge nazionale».
E all’articolo 22, il testo approvato in Aula definisce il Codice etico «vincolante» per gli amministratori pubblici (anche in caso d’eventuale «adesione individuale»).
Mentre il testo diventato un atto regolamentare dell’Ente, all’articolo 20 sancisce che «in caso di condanna non definitiva per reati cui la legge associ la sospensione della carica, l’amministratore s’impegna ad aderire spontaneamente e senza ritardo a tali prescrizioni». E all’articolo 21, che in caso di violazioni del Codice «l’amministratore deve assumere tutte le iniziative necessarie, dal richiamo formale alla censura pubblica» per «assicurare l’ottemperanza ovvero sanzionarne l’inadempimento».
Nell’analisi operata dai commissari di minoranza, il sindaco e gli altri amministratori condannati – è appena il caso di ricordare che ce n’è uno anche di centrodestra, l’ex vicesindaco ed esponente proprio di Coraggio Italia Saverio Anghelone –, non dimettendosi, hanno violato il decalogo di Avviso pubblico.
Mentre sindaco facente funzioni e presidente dell’Assemblea avrebbero brillato per «inerzia», non richiamando gli interessati a formalizzare le dimissioni prescritte dal Regolamento comunale tramite appunto richiamo, censura pubblica o altri mezzi appropriati.
Altro nodo è poi la mancata costituzione di parte civile dell’Ente locale nei processi “Miramare” e “Sati”. Quest’ultimo, decisamente meno eclatante, citato soprattutto perché l’ex dirigente Maria Luisa Spanò è stata coinvolta – ma attenzione, non condannata come affermato nel testo del documento di minoranza poi opportunamente rettificato e dal presidente di Commissione Ripepi in conferenza stampa – anche in quel contesto.
In modo forse singolare, quali iniziali fonti dell’indagine conoscitiva vengono citati non atti amministrativi, ma le conferenze stampa tenute sul tema dal movimento Reggio Futura prima e dal movimento Reggio c’è successivamente.
Rispetto alla vicenda-Miramare, la questione di fondo attiene al comportamento concreto dell’Avvocatura comunale e del suo dirigente Fedora Squillaci. Aveva o no il potere di decidere – discrezionalmente e in autonomia, rispetto a parte politica – se rappresentare l’Ente nel processo? In ogni caso: perché non è stato presentato un esposto alla Corte dei conti?, si chiede l’organismo consiliare.
La Commissione ha convocato la dirigente che ripetutamente ha disertato i lavori, fino alla nota inviata al presidente Ripepi il 13 gennaio scorso chiarendo che, con 8 avvocati in servizio sui 15 previsti in pianta organica, «la costituzione in giudizio dell’Ente nel complesso e numeroso contenzioso comunale» è sempre più complicata, chiarendo che la mancata risposta alle convocazioni sarebbe stata legata proprio all’«incompatibilità con i carichi di lavoro del proprio settore».
Cinque giorni dopo, la prima effettiva audizione: secondo la Squillaci non sarebbe stata sufficiente la delega “generale” conferitale dal primo cittadino il 3 novembre 2014. Quindi la dirigente avrebbe auspicato con forza «che le si chiedesse scusa, essendosi ritrovata al centro di una campagna mediatica» e censurato le forze di minoranza per essersi «occupate ‘solo adesso’ della questione».
Così i commissari di centrodestra della “Controllo e Garanzia” ricostruiscono l’accaduto in base ai documenti forniti dall’interessata.
Il 3 settembre del 2018 la dirigente trasmise al sindaco l’atto di costituzione di parte civile, ai fini della sottoscrizione della procura speciale. Ma non ce n’era necessità, stando a Ripepi & C., per via della delega conferita dal sindaco Falcomatà il 3 novembre del 2014 alla dirigente dell’Avvocatura civica.
Tra i vari documenti, colpisce la circostanza che lo stesso giorno – 3 settembre 2018 – la dirigente dell’Avvocatura abbia chiesto a responsabile dell’Ufficio Protocollo generale e Albo pretorio d’annullare il documento con cui chiedeva la procura speciale appena menzionata, in quanto «protocollato per mero errore». Frangente che, subodorano i membri di minoranza dell’organismo consiliare, «lascia quantomeno ragionevolmente supporre un’ “interferenza”».
Ma a connotare l’intera faccenda della costituzione di parte civile c’è l’ipotizzato conflitto d’interessi in più d’una direzione.
Cinque giorni prima del 12 settembre 2018 – giorno per il quale era fissata l’udienza preliminare relativa al “processo Miramare” – Fedora Squillaci indirizzò poi una riservata urgente al sindaco, alla Giunta e al segretario generale ipotizzando che l’Ente faccia istanza al pm «perché chieda al giudice dell’udienza preliminare la nomina di un curatore speciale per la costituzione di parte civile del Comune, sempre che esista a monte la volonta dell’Ente di costituirsi parte civile».
Il presidente dell’organismo consiliare Ripepi e gli altri commissari d’opposizione interpretano queste frasi come una «palese rinuncia all’autonomia del ruolo», andando a richiedere la dirigente «una sorta di condivisione presso il soggetto totalmente impedito a pronunciarsi sull’argomento da un macroscopico conflitto d’interessi».
Il primo cittadino risponde però che la valutazione sulla costituzione di parte civile «è una valutazione di natura tecnico-giuridica inerente un atto gestionale», perciò «rimesso alla competenza della S.V.».
Alla responsabile dello staff del sindaco Eleonora Albanese è poi giunta dalla Squillaci la bozza per l’istanza di nomina del curatore: «Valutate cosa fare, io non sono riuscita a parlare con il sindaco», evidenzia la dirigente dell’Avvocatura.
Nessuna risposta.
Il nodo non si scioglie neppure dopo il rinvio a giudizio di tutti gli imputati del rito ordinario, avvenuto il 18 febbraio del 2019.
E così osserva la Squillaci che, «salvo diverse indicazioni da parte della S.V., il fascicolo sarà archiviato». Cioè non sarà presa alcuna decisione al riguardo, ossia – come poi di fatto avvenuto – l’Ente non si costituirà in giudizio neanche in prima udienza dibattimentale (svoltasi il 18 aprile dello stesso anno).
Una vicenda «melmosa», così viene definita in documento. E tra gli interrogativi che si pongono i commissari d’opposizione, si chiedono ad esempio «perché l’avv. Fedora Squillaci, da oltre tre lustri, è destinataria di una sorta d’inamovibilità che di fatto la colloca al di sopra di qualsiasi rotazione dei dirigenti, peraltro obbligatoria ai sensi della normativa nazionale anticorruzione».
Circostanza peraltro ribadita con una recente conferma nel ruolo da parte del sindaco facente funzioni Brunetti.
E si rammenta, nel documento, come il prefetto di Reggio Calabria il 14 ottobre del 2017 annunciò un monitoraggio sull’indispensabile rotazione di dirigenti e dipendenti, «da intendersi quale misura organizzativa preventiva finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa».
Vengono peraltro richiamati anche l’indagine sui presunti brogli elettorali alle Comunali e il ruolo dell’ex capogruppo a Palazzo San Giorgio Nino Castorina.
Nella relazione conclusiva, i commissari di minoranza citano le parole del gip presso il Tribunale di Reggio Calabria sulla ritenuta «connivenza del sindaco e di tutti i consiglieri comunali componenti la Commissione elettorale del Comune» allo scopo di «garantire a Castorina una corsia preferenziale diretta a permettergli di nominare, a proprio piacimento, gli scrutatori per le elezioni del 20/21 settembre 2020, scegliendo altresì la sezione a cui essi andavano assegnati».
Tutti, ovviamente, frangenti ancora da accertare in sede processuale.
Come da articolo 33 del Regolamento consiliare, il presidente del Consiglio comunale Enzo Marra dovrà adesso curare la sollecita distribuzione del documento a tutti i gruppi consiliari (comma 4).
Entro i 30 giorni successivi alla ricezione degli atti, poi, «il Consiglio valuta i suggerimenti della Commissione» (comma 5).