Siamo nel prime time Mediaset. Sul piccolo schermo di ReteQuattro, il programma è Quarta Repubblica, c’è Nino Spirlì munito di felpa d’ordinanza con tanto di logo della Protezione civile. Il tema, dopo le lodi dello stesso Spirlì alla comicità grossier di Pio e Amedeo, ma soprattutto dopo l’incauta pubblicazione del famigerato video omofobo da parte di un candidato consigliere di centrodestra alle ultime Comunali – Luciano Surace –, attiene all’uso più o meno accorto delle parole per quanto attiene al mondo Lgbt.
Ecco che, sul tema, il conduttore e vicedirettore del Giornale Nicola Porro “invita a nozze” Spirlì: fra i pochi gay dichiarati ad aborrire il politically correct, tanto da aver usato anche sulla propria pagina Facebook termini opinabili («frocio», «negro,«ricchione» e molto altro).
Nicola Porro ammicca: «Lei è qui come Presidente della Regione Calabria,ma soprattutto come persona che ha detto: “Alcune parole userò…” Sa che non so se posso dirle queste parole, perché l’Ordine dei giornalisti mi fa un “mazzo” così se le dico?». L’assist viene sùbito raccolto: «Ma non c’è problema, Nicola le dico io: dico ricchione, dico negro, dico frocio… qual è il problema? Le parole – così il presidente Spirlì – non si possono bruciare: noi sappiamo che chi prima ha bruciato le parole, poi ha bruciato i libri e poi ha bruciato le persone… Questo gay-nazismo imperante sta diventando un grande pericolo per la nostra società».
Ma il navigato giornalista a questo punto fa presente: «Beh, ma per te è facile, tu non hai subìto violenze…». In realtà, Porro sa perfettamente che Nino Spirlì parla proprio di questo, nel suo volume autobiografico Diario di una vecchia checca (a proposito di politicamente corretto!) ma, diciamo, finge d’ignorarlo.
E così dà modo al Presidente della Giunta calabrese di chiarire: «Aspetta, Nicola… noi ci conosciamo da un bel po’ di tempo. Io ho usato un libro per far uscire esattamente ciò che ho dovuto patire negli anni – puntualizza Spirlì -. Io sono vittima di stupro; a 25 anni, sono stato stuprato. Sono stato lasciato a morire… non so com’è che mi sono svegliato, sul pavimento di casa mia, dopo tre giorni di coma. Per ricostruire la mia vita ci ho impiegato 10-15 anni; so perfettamente cos’è la piaga della violenza e ne ho pagato lo scotto quotidianamente. Ho dovuto ricominciare con piccoli pezzetti di vita, per poter riamare la vita».
«Non sono certo uno di quelli che parlano a vanvera… E non sono le parole a offendermi – prosegue la sua requisitoria “politicamente scorretta” il Governatore calabrese facente funzioni, incurante dell’inquadratura condivisa con una Vladimir Luxuria che scuote la testa e che successivamente contesterà a viso aperto le sue tesi –, ma è il sentimento che viene messo dentro le parole. Per cui, tutto quello che è stato detto in tutto questo tempo da questi signori che per passatempo fanno gli opinionisti in tv mi offende amaramente. Perché quando si parla di violenza dentro una parola, bisogna capire cosa s’intende veramente. Quando si dice che una persona s’offende perché lo chiami “ricchione”, beh, a me non m’offende quello: m’offendono le botte che m’arrivano sulla schiena o sulla testa. E quello non dipende dalla parola o da chi la dice: dipende dall’educazione che si dà alla gente».