servizio di Silvia De Domenico
MESSINA – “Slums” per il quotidiano americano, “baraccopoli” alle nostre latitudini. Il viaggio continua nel rione di Giostra. Precisamente nello scorcio fotografato nel 2021 dal New York Times. L’immagine di quelle case basse, con i tetti in amianto e il signore di spalle con il bastone hanno fatto il giro del mondo. Questa puntata del Viaggio nelle baraccopoli attraversa i vicoli stretti delle vie Cuore di Gesù e 3B. Sono ben 11.000 mq di vergogna, a un passo dal viale Giostra. Due baraccopoli, una accanto all’altra, sotto gli occhi di tutti da più di 100 anni. Anche qui, come nella vicina San Matteo, ci sono evidenti rimanenze delle baracche costruite in legno nel periodo post terremoto del 1908.
In una di queste casette centenarie vive un giovane trentenne. La sua è la terza generazione ad abitare in quei miseri 40 mq. Ormai è rimasto da solo fra quelle mura divorate dall’umidità, da quando i suoi genitori sono morti di Covid. “Mia madre e mio padre se ne sono andati a distanza di una settimana l’una dall’altro. In questa casetta era impossibile mantenere il distanziamento sociale”, racconta l’abitante di via 3B. Un giovane volenteroso, che ha studiato, si è diplomato e ora lavorerà grazie ai tirocini di inclusione sociale del Comune di Messina. Ma il suo sogno resta sempre quello di abitare in una casa dignitosa.
Accanto a lui c’è chi ha già avuto il suo lieto fine. Una famiglia, che grazie al corridoio sanitario per i fragili, ha avuto l’assegnazione di una nuova casa. “Siamo felicissimi, soprattutto per nostro figlio che ha la 104“, racconta commossa la signora Loretta Travaglio. A poche baracche di distanza c’è chi si è rassegnato e non crede più che la casa arrivi e chi chiede aiuto. “Mio figlio si vergogna di casa nostra sin da quando era bambino. Ora studia all’Università e cerca di riscattarsi”, racconta la signora Anna Mancuso.
Il viaggio di questa settimana attraversa vicoli strettissimi, è difficile chiamare vie dei passaggi in cui con le spalle si toccano le pareti delle case. Già un passeggino o delle buste della spesa fanno fatica a passare. Eppure la gente dice di essersi abituata, di non farci più caso.
Al nostro arrivo incontriamo una coppia di ultraottantenni che abita qui da quasi tutta la vita. E spera di non morirci. “Facciamo quello che possiamo, abbiamo una graduatoria per i fragili che supera le 200 famiglie”, racconta il sub commissario Marcello Scurria. “A volte il risanamento sembra fermo ma in realtà è perché magari in quel momento non ci sono case adatte, ad esempio per la metratura prevista dalla legge”.
E poi il paradosso di una casa del Comune disabitata da almeno 5 anni. Fra rifiuti, erbacce e topi. Un cittadino segnala lo stato di abbandono e si augura che quest’abitazione possa essere recuperata, ristrutturata e magari assegnata a chi ne ha diritto.
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