Traffico di droga, da Catania e Gioia Tauro fino alle piazze messinese

Traffico di droga, da Catania e Gioia Tauro fino alle piazze messinese

Veronica Crocitti

Traffico di droga, da Catania e Gioia Tauro fino alle piazze messinese

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giovedì 19 Gennaio 2017 - 11:14

L'indagine conta 32 indagati. A finire nel mirino degli inquirenti due gruppi messinesi facenti capo ad un'unica associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.

C’era il boss che impartiva gli ordini dal carcere di Gazzi, c’erano gli stretti legami con la criminalità calabra e catanese che consentivano di reperire la droga, principalmente cocaina e marijuana, da smerciare poi nelle piazze messinesi, soprattutto a giovani e studenti universitari.
C’era un’associazione a delinquere composta da due gruppi distinti eppur legatissimi, capeggiati da due figure-chiave, che trafficavano droga e gestivano un circuito di spaccio ad ampio raggio.
E’ scattata stamattina all’alba l’Operazione Doppia Sponda che ha chiuso il cerchio su 19 persone accusate, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi da fuoco e altro.
Vanno direttamente in carcere Maurizio Calabrò, Marco D’Angelo, Salvatore Di Mento, Filippo Iannelli, Gianluca Miceli, Domenico Giovanni Neroni, Antonino Pandolfino, Paolo Pantò, Massimo Laddea Raffa, Sebastiano Sardo, Giuseppe Valenti. Domiciliari per Antonio Barbuscia, Santino Calabrò, Francesco Crupi e Rocco Valente. Obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per Rocco Lanfranchi e Salvatore Micali.

A far scattare l’inchiesta, coordinata dalla Procura di Messina e dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, è stato l’arresto in flagranza, nel marzo del 2013, di Rosario Vito, spacciatore ritrovato con 1,2 chilogrammi di marijuana suddivisa in 12 involucri.

“Sono state la voglia e l’interesse di approfondire quello che era stato il ritrovamento di un grande quantitativo di droga nel messinese a far giungere ai risultati di oggi”, ha dichiarato il Colonnello Iacopo Mannucci Benincasa.

Le indagini, portate avanti dal Nucleo Investigativo ai comandi del maggiore Ivan Boracchia, sono durate circa un anno ed hanno permesso di delineare il quadro in cui operavano i due gruppi, le piazze di spaccio, il modus operandi, nonché i ruoli svolti da ognuno dei sodali.

Al vertice di tutto spiccava la figura di Maurizio Calabrò detto “Militto”, in grado di gestire la sua organizzazione nei minimi dettagli, di reperire marijuana e cocaina da Catania e Calabria (Gioia Tauro) nonché di “far girare” ogni 15 giorni introiti pari a oltre 23mila euro. Il 6 luglio 2013 Calabrò viene arrestato poiché ritrovato con 4,8 chilogrammi di marijuana e, così, a capo dell’associazione giunge Giuseppe Valenti. Nonostante questo, il “Militto” continuò ad impartire ordini da dietro le sbarre del carcere di Gazzi mantenendo saldi rapporti con le frange catanesi. E’ stata proprio la sua strettissima amicizia con Sebastiano Sardo, di Librino, a far sì che il gruppo messinese non sciogliesse i contatti con Catania. Tanto era intenso il loro legame che “Militto” si era anche fatto tatuare sul braccio il nome “Sebastiano”.

A poco a poco, affianco a questa salda organizzazione capeggiata da Valenti e Calabrò, iniziò ad avanzarne un’altra guidata da Marco D’Angelo. Proprio questi, infatti, era desideroso di tagliare i rapporti di “subordinanza” con Valenti e farsi un gruppo di spaccio tutto suo. Tanto più che poteva contare sull’appoggio di Giuseppe Trischitta, storico capo clan di Mangialupi, essendo fidanzato con la figlia.
Nel nuovo gruppo di D’Angelo, le regole erano un po’ diverse: i collaboratori più stretti, tra cui Salvatore Di Mento e Gianluca Miceli, avevano il compito di vendere la droga e poi dare a lui tutti i proventi; gli incontri coi pusher avvenivano sempre nella casa di D’Angelo, di notte; il venerdì era il giorno scelto per riscuotere il denaro; tutte le somme venivano annotate in un taccuino, adesso finito sotto sequestro; nelle conversazioni veniva utilizzato un linguaggio camuffato, con l’utilizzo di parole come “prezzemolo” o “rose rosse” per indicare la droga.

Dalle indagini è anche emerso che i due gruppi disponevano di armi, come il fucile calibro 12 sequestrato dai carabinieri nel novembre 2013 in un bar di via La Farina. Dieci in tutto, poi, i corrieri di droga arrestati nel corso nello stesso anno, beccati con ingenti quantitativi di stupefacente. A firmare i provvedimenti di oggi è stato il Gip Salvatore Mastroeni, su richiesta del Sostituto Procuratore della DDA Maria Pellegrino. L’indagine conta 32 indagati. (Veronica Crocitti)

2 commenti

  1. Nessun BUDDACE si congratula con i Carabinieri? Intervenite solo dove non vi brucia il sedere, Buddaci coraggiosi

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  2. Nessun BUDDACE si congratula con i Carabinieri? Intervenite solo dove non vi brucia il sedere, Buddaci coraggiosi

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