“Golem”, manuale illustrato di punk metropolitano

“Golem”, manuale illustrato di punk metropolitano

Domenico Colosi

“Golem”, manuale illustrato di punk metropolitano

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domenica 17 Aprile 2016 - 06:29

Sotto la volta di Guttuso, una fantasmagoria luddista in chiave punk: il ritorno del Golem, padrone delle nostre anime, nello spettacolo presentato a Messina in prima nazionale dalla compagnia britannica 1927

Tecnoscettici di tutto il mondo unitevi. È arrivato il Golem, la dinamica servo-padrone è pronta per un maquillage in alta definizione: rivalità e lotta di classe in piccole dosi, il successo richiede un piccolo sacrificio. Dalle parti di “Arancia Meccanica” o “Brazil”, in una metropoli post-punk in odore di distopia, Robert ed Annie lottano contro la marginalità: abbandonati dal padre jazzista, vivono con una nonna appassionata di Beethoven mentre si trascinano nel grigiore di un lavoro privo di senso tra i mille richiami di un volgare consumismo. Ad incanalare la propria rabbia, l’esperienza nel gruppo punk Annie & the Underdogs, rovina dei Natali presenti e futuri. Il Golem in agguato, prima semplice strumento, poi consigliere e suggeritore, infine despota nelle dinamiche famigliari e lavorative: da prodotto di nicchia, acquistato da Robert da un commerciante equivoco, a merce venduta su scala mondiale, sempre più sofisticata ed invasiva. Intelligenza artificiale per traghettare gli uomini verso una pace dopata: essi vivono.

Prima italiana al Teatro Vittorio Emanuele per “Golem” di Suzanne Andrade: temi antichi per le società post-industriali, riveduti e corretti dalla compagnia britannica 1927 in una fantasmagoria marxista, critica alle debolezze dell’uomo prima ancora che attacco alla società dei consumi. Sotto la volta di Guttuso, il sanguinoso punk di una novella X-Ray Spex converge verso un disperato grido d’aiuto: la raffinata tecnologia ha sublimato le nostre ansie. Tra i fantasmi dell’espressionismo tedesco, con “Metropolis” come riferimento più o meno esibito, si innerva la tensione moderna di un luddismo di ritorno; senza alternative, tuttavia, con la resistenza passiva come unico antidoto: il Golem di Rabbi Loew e Meyrink ha sfondato i muri del ghetto per presentarsi al mondo tra grida di giubilo. Musical in partenza, con il graphic-novel come meta agognata: le sinistre illustrazioni di Paul Barritt nel pannello multimediale con cui interagiscono gli attori sulla scena, l’incessante sottofondo da cinema muto, i costumi (con una citazione al “Dormiglione” di Woody Allen), figli di una sciatta modernità, a suggerire una decadenza che si traveste di originalità. Pochi cedimenti nel lavoro di Suzanne Andrade, che rielabora l’inquieto rapporto tutto postmoderno tra uomo e macchine nel carnevale ballardiano dell’argilla in alta definizione; la strada è stata già tracciata e l’onnivoro capitalismo ha cannibalizzato le sue prede: anche un semplice sentimento, in questa direzione, è stato reso banalmente un prodotto di marketing. Impeccabili gli attori Charlotte Dubery, Will Close (impegnata anche alle percussioni), Lillian Henley e Rose Robinson con la batterista Shamira Turner, sempre coesi nonostante un rapporto con il pubblico spesso difficoltoso a causa di una differenza linguistica colmata solo in parte dai sopratitoli.

Spettacolo sulla tecnologia che si fonda sul multimediale: spenti sul nascere gli afflati rivoluzionari, restano le contraddizioni, unico alimento commestibile sulla via della sintesi. Sul sentiero del Golem moderno, padrone dell’ambiente domestico: troppo tardi per combattere, l’unico rifugio in una sconfitta onorevole.

Domenico Colosi

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