A Messina il più basso tasso d'occupazione e il sud arranca, tra pochi diritti e prospettive senza un progetto e una visione
MESSINA – Precario, sottopagato, spesso rischioso: è il lavoro nel sud d’Italia. Così oggi 1 maggio 2023 non celebriamo un rito novecentesco ma una necessità, un impegno proiettati nel presente e nel futuro. Conoscere il passato, evocare la strage di Portella della Ginestra, ricordare le battaglie per il lavoro e contro le ingiustizie sociali non può limitarsi a uno sterile rituale. Ancora di più se viviamo in un territorio così affamato di lavoro: Messina, lo certifica l’Istat, ha il più basso tasso d’occupazione dei grandi Comuni d’Italia, con solo il 35,1 per cento d’occupati. C’è poco lavoro, con stipendi bassi, e tanti impieghi sono in nero o in balìa del precariato. È Messina. È Reggio. È il sud a vivere questa quotidianità.
Chi non lavora, o lavora in condizioni proibitive, non vive un’esistenza decente ma preferiamo spesso dimenticarlo, mentre si continua a non investire abbastanza sull’istruzione e sul lavoro qualificato. Come indica l’articolo 3 della Costituzione, è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Oggi partecipazione, mobilitazione e confronto per trovare risposte a una crisi del lavoro ventennale sono delle vere e proprie priorità. Manca una visione d’insieme su come creare occupazione stabile. E il lavoro, mentre il governo annuncia un decreto in questo giorno simbolico, rimane spesso un problema fantasma per una politica incapace di guardare lontano.
Non a caso mette in evidenza la Fondazione “Di Vittorio”: “Il tasso di occupazione italiano, secondo gli ultimi dati europei, è il più basso in Europa e questa distanza non tende a diminuire. Inoltre, il nostro tasso è più di altri condizionato dall’andamento demografico del nostro Paese. Infatti è solo in parte determinato dall’aumento degli occupati, mentre incide sulla sua salita prevalentemente la contestuale e drastica diminuzione della popolazione in età da lavoro. Non è l’unico problema. I contratti precari sono stabilmente attorno alla quota dei 3 milioni, mentre progressivamente l’occupazione italiana invecchia”.
Da parte sua, Francesco Lucchesi, della segreteria regionale della Cgil, ai microfoni di Tempostretto, ha parlato, alla fine del 2022, “di più dell’80 per cento dei contratti a tempo determinato in Sicilia e con un terzo che non supera le 30 giornate”.
L’abbandono dei territori e un eterno precariato non sono una condanna a vita. E vanno combattuti con strategie economiche, sociali, culturali da mettere in campo a livello europeo e nazionale. “O si rifà Messina o si muore” scrivevamo a gennaio e, in questo periodo, abbiamo cercato di dare la giusta attenzione a un altro problema strutturale, tanto da risultare inappropriato definirlo un’emergenza: quello della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Un New Deal per il sud
Poco lavoro, mal retribuito e precario, spesso in allarmanti condizioni di sicurezza, e tanta disoccupazione: lo scenario è questo. Le potenzialità non mancano ma per cambiare le condizioni strutturali dell’economia meridionale servono idee e progetti innovativi. Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo: dalla lotta alla dispersione scolastica al sostegno economico e occupazionale, serve un New Deal, come negli Stati Uniti di Roosevelt negli anni Trenta, per far ripartire davvero zone a rischio desertificazione. Senza i migranti e le seconde generazioni, oggi molti quartieri sarebbero quasi deserti.
Ambiente, occupazione, imprese dovrebbero essere tutti i tasselli di una qualità della vita che non si può affidare solo al bel clima, in assenza di servizi e diritti. Senza dimenticare le strade, i collegamenti ferroviari, i servizi pubblici. Al sud serve un New Deal privo di clientelismi e carrozzoni. E non c’è tempo da perdere, mentre i temi dell’autonomia differenziata e del rischio di perdere i fondi Pnrr ci ricordano che per il meridione d’Italia il momento è decisivo. E non più tempo di tirare a campare.
ECCELLENTE articolo…… chiaro,onesto dall’inizio alla fine perché rispecchia esattamente la situazione lavorativa….. personalmente,ho provato pure io sulla mia pelle, la mancanza di tutela nel lavoro , sin da ragazzina, assunta senza un contratto….lavoravo dalla mattina alla sera per una misera paga, che però mi serviva, viste le difficoltà economiche in cui vivevo, e quando provavo a far valere le mie ragioni, perché su quella misera paga ,mi venivano tolti pure soldi se rompevo gli aghi per cucire ,il ghigno dei padroni era indirizzato verso la porta a farmi capire il licenziamento, e allora le mie proteste “morivano “dentro di me per non perdere quell’unico posto di lavoro che avevo trovato in quel tempo …..e mi dispiace che ancora oggi ci siano atti di prevaricazione, mancanza di rispetto,assenza di sicurezza ,ambienti malsani ,contratti capestri dove le trattenute sono più dello stipendio che si percepisce, ….e mi dispiace che ancora oggi ci sia lo stesso mio tacito assenso di quel tempo ,la stessa rassegnazione nell’accettare passivamente ciò che invece va denunciato per stroncare tutti gli “abusi e soprusi fatti a danno del lavoratore…..servono controlli , severe sanzioni per chi sfrutta e calpesta la dignità,per chi non garantisce sicurezza,per chi fa lavorare in ambienti malsani , per chi fa il “padre padrone”dimenticando che l’azienda, fabbrica e quant’altro,se produce e sta in piedi è proprio GRAZIE ai lavoratori !!!!