A distanza di tre anni il ricordo della notte di tragedia: gli sos lanciati in rete, le richieste d’aiuto, la sensazione di impotenza di fronte alla violenza della natura
L’impressione che lì, da qualche parte nella zona sud della città, un inferno, fatto non di fiamme ma di acqua e fango, fosse destinato a lasciare segni indelebili nella storia di Messina e dei messinesi, è stata subito chiara. Una sensazione amplificata non solo dallo spettacolo, indubbiamente inquietante, che già nel tardo pomeriggio del 1.ottobre era andato in scena nel cielo sullo Stretto, con una pioggia di saetta e tuoni sempre più fragorosi, ma dai tanti messaggi che, a partire dalle 21.30, hanno letteralmente mandato in tilt lo spazio commenti di Tempostretto.it. Richieste di aiuto, appelli di intervento perché lì “in mezzo al fango la gente sta morendo”. Uno, due, tre, dieci, venti…come ignorare le parole disperate provenienti dai quei piccoli villaggi che forse nessuno, fino a quel giorno, aveva mai tenuto nella giusta considerazione? Decidiamo quindi di spostarci in Prefettura dove viene istituito il Centro operativo d’emergenza. Ricordo come fosse ieri il lago di acqua formatosi di fronte i cancelli del Palazzo del Governo, che quasi impediva di oltrepassare il portone d'ingresso. Lo stesso ingresso che nei giorni successivi, avrebbe accolto ministri, dirigenti, funzionari, altri colleghi che come me, come noi, hanno seguito passo passo il dramma di quelle famiglie spezzate dal dolore, il dramma di una città. E’ lì, dunque, presso la sede prefettizia, che inizia, giornalisticamente parlando, la nostra, ma anche la vostra infinita notte. Continuo ed incessante il via vai dei rappresentanti di istituzioni, forze dell’ordine e protezione civile. La confusione era enorme, ma una cosa appariva evidente: minuto dopo minuto, i volti di chi faceva avanti e indietro nei corridoi della Prefettura, bastavano più di ogni altra parola. Sguardi che confermavano a pieno il tenore dei messaggi che, nel frattempo, continuavano ad essere recapitati su Tempostretto. Ora dopo ora, in quella notte di fango ed inferno, tutti hanno, anzi abbiamo, preso coscienza della nostra impotenza di fronte alla "grandezza", spesso funesta, della natura. Per giorni il grande tavolo sistemato nel centro operativo, è stato “apparecchiato” con le cartine geografiche di Messina e dei villaggi "ingoiati" dal nubifragio, per individuare bene i punti in cui, purtroppo, si sarebbe dovuto continuare a scavare, perché era lì che i cani avevano individuato “qualcosa” Di fronte al dolore di quelle “scoperte”, di cui molti colleghi sono stati testimoni diretti perché impegnati nel loro lavoro di cronisti, i brividi che hanno attraverso il corpo e la mente di ognuno sono stati talmente forti da far stare male. Eppure, almeno alle nostre latitudini, nessuno tra gli “addetti ai lavori”, tra gli operatori dell’informazione, tra i “semplici” cittadini, si è fermato un attimo di fronte ad una tragedia che, forse mai prima d’ora, almeno nella cronaca recente, ha unito tra loro i messinesi, e quest’ultimi alla loro città, al loro territorio, ferito, martoriato e, nei mesi successivi (ma non è su questo che ci interessa soffermarci), umiliato. Si dice spesso che lo scorrere del tempo lenisca ogni sofferenza, eppure c’è ne sono alcune che mai potranno essere sanate, dimenticate. Non è detto, però, che questo sia sempre un male: sebbene, infatti, il dolore sia ancora a tratti forte e pungente come quando una goccia di succo di limone finisce per sbaglio su una ferita non ben rimarginata, quella stessa sensazione ci ricorda l’indolenza e la superficialità che quel fastidio ce l’hanno procurato. La pioggia, breve ma intensa, che ieri notte è scesa su una Messina per sempre ferita, è stata come il succo di quel limone: ci ha ricordato cosa non dovrà accadere mai più. (ELENA DE PASQUALE)