'A Cirimonia: il viaggio sofferto nella memoria secondo Palazzolo

‘A Cirimonia: il viaggio sofferto nella memoria secondo Palazzolo

Emanuela Giorgianni

‘A Cirimonia: il viaggio sofferto nella memoria secondo Palazzolo

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lunedì 06 Maggio 2024 - 07:09

Autore, regista e attore, torna a scuotere il Teatro dei 3 Mestieri con un interrogativo: esiste verità nel gioco dialettico tra realtà e ricordo?

MESSINA – Immagine o immaginazione, cosa è davvero la memoria? E i ricordi? Testimonianza illanguidita della realtà o nostra autodeterminata costruzione? Traccia del reale o rifugio da esso?

Ci interroga così ‘A Cirimonia di Rosario Palazzolo (già vincitore del Premio dell’Associazione nazionale dei critici italiani), che dal 2008 trascina il pubblico in un faticoso conflitto tra verità e memoria.
Tornano Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo nel ruolo dei due protagonisti, rispettivamente, ‘U masculu e ‘A fimmina (dopo l’interpretazione di Enzo Vetrano e Stefano Randisi).
E torna, ancora, Palazzolo al Teatro dei 3 Mestieri, dopo il successo di Via Crudex.

La memoria

“Mi chiamo Lola e son spagnola…”, la celebre conta per bambini accoglie il pubblico in sala e si fa sempre più frenetica, assillante, opprimente. Nel mentre, tra indumenti e oggetti abbandonati alla rinfusa sullo sfondo, si muovono i due personaggi alla ricerca di ciò di cui hanno bisogno. Sono gli abiti della cerimonia che celebrano ogni anno in quello stesso giorno.

Ed ecco, allora, che ‘U masculu indossa uno smoking su una canottiera e ‘A fimmina uno sgualcito abito da sposa e una parrucca, sebbene continui a riferirsi a se stessa al maschile. Davanti a loro, su un tavolino, una torta con una candelina. Una giornata di festa da riportare alla memoria, di gioia e leggerezza, il cui epilogo, però, non sarà altrettanto lieto. Se spesso l’arte ci racconta il tentativo di dimenticare un passato doloroso, l’ingenua e svampita ‘A fimmina, dal volto pieno di cerone, e ‘U masculo, cieco e pieno di invalidanti tic nervosi, vogliono, invece, riuscire a ricordare il perchè di tanta felicità (o della tragedia che ne consegue). “Che stiamo facendo?” domanda ‘A fimmina. “Stiamo aspettando” risponde beckettianamente ‘U masculo. Ma cosa? Cosa aspettano? Proprio un ricordo.

Come una conta, inizia il loro gioco del “u mi ricordu”. Un gioco linguistico incalzante, duello tragico, poetico, che travolge e toglie il fiato, come è tipico di Palazzolo, cui il dialetto offre spessore ed espressività. “U mi ricordo” è il solo metodo che i due protagonisti hanno per ricordare, per riportare alla luce qualsiasi memoria, purché sia vera.
Ma nascono, allora, nuove domande: cosa rende un ricordo vero? Con quale criterio discerniamo il vero dal falso? Dove viene varcato il confine fra essi?

La verità

“Esiste una sola verità, ma nessun modo per esprimerla”. Con questo assunto si presenta ‘A Cirimonia, riflessione lucida sull’impossibilità della verità (il lavoro del regista palermitano è, infatti, il secondo capitolo de “La trilogia dell’impossibilità”, preceduto da Ouminicch, sull’impossibilità della scelta, e seguito da Manichini, sull’impossibilità dell’essere).

E se, invece, non esistesse una sola verità ma infiniti modi di esprimerla, diversi modi di raccontarla e, quindi, di affrontarla? Se, in questa dialettica inarrestabile tra realtà e memoria, il tentativo di ricostruzione della verità fosse solo una sua indipendente costruzione? Di cui abbiamo bisogno, però, per poter sopravvivere, anche al più lacerante dolore.

Cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia. Sia nel caso che una sola verità esista ma non sia esprimibile, sia che ne esistano infinite, incapaci di incontrarsi reciprocamente perchè troppo distanti l’una dall’altra, il risultato resta sempre il medesimo: l’incomunicabilità.

Incomunicabilità protagonista del testo, raccontata anche dalle musiche di Gianluca Misiti che scandiscono una narrazione dal ritmo sempre ostinato; dagli attenti giochi di luce di Angelo Grasso all’aiuto regia, che si accendono e spengono, spostano, inceppano e dalla forza dell’espressività degli interpreti, che neanche cerone e tic possono nascondere.
Alcuni ricordi tornano alla memoria, si tratta di morti, liti e tanta solitudine.  Non arriviamo ancora, però, a nessuna conclusione univoca. Se anche esistesse, allora, questa verità oggettiva, come direbbe il filosofo Gorgia, non sarebbe conoscibile, e se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile.

In una grande circolarità, senza verità assolute ma solo interpretazioni possibili, ci ritroviamo al punto di partenza: ricomincia la cantilena, i due personaggi in mutande rovistano tra gli oggetti sparsi e indossano nuovi vestiti per la cerimonia, questa volta, però, a ruoli invertiti. Ma quali sono questi ruoli in realtà? Quelli di marito e moglie? Di padre e figlio? O altri ancora?
Ad ogni spettatore non resta altro che la possibilità di scegliere a quale verità credere o quale ricordo di essa corrompere per trovarne riparo. Una verità che si chiude all’oggettività assoluta e si apre alla poesia della sua soggettiva visione sulle cose. Una verità poetica non solo poiché si presta perfettamente all’essere concetto e strumento artistico, ma nello stesso senso etimologico del termine poieîn, un fare creativo che viaggia sul limite tra vero e non vero.

Non, quindi, un’impossibilità del vero che diviene abbandono all’incerto del tutto relativistico, ma una spinta in più verso la sua ricerca, sebbene labirintica, verso la scommessa continua e l’eventualità del fallimento.

Fallimento che, per quanto Palazzolo desideri, ancora una volta, non riesce a raggiungere. Perchè ‘A cirimonia invecchia con grande eleganza, con le sue infinite domande e l’assenza di risposte nette, facendosi sempre più esplorazione viva, speculazione teorica sul vero che si concretizza solo nel vivo della magia della sua resa artistica.

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