Il genio di Beethoven nell’acclamato concerto di Francesca Dego e Francesca Leonardi

Il genio di Beethoven nell’acclamato concerto di Francesca Dego e Francesca Leonardi

Giovanni Francio

Il genio di Beethoven nell’acclamato concerto di Francesca Dego e Francesca Leonardi

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domenica 10 Gennaio 2016 - 23:03

Splendida l'esecuzione delle sonate per violino e pianoforte di Ludwig van Beethoven nel concerto di due tra le più apprezzate musiciste della scena italiana

L’Accademia Filarmonica, nell’ambito della stagione concertistica in corso, propone una interessantissima esecuzione integrale delle 10 sonate per violino e pianoforte di Beethoven, alla stregua della altrettanto interessantissima proposta della Associazione Bellini, che sta offrendo al pubblico l’esecuzione integrale delle sonate per pianoforte di Beethoven, in più stagioni, trattandosi di 32 sonate, per la felicità degli amanti della grande musica e di Beethoven in particolare. A differenza di altri generi musicali da camera, come i quartetti d’archi, le sonate per pianoforte e le sonate per violoncello e pianoforte, il genio di Ludwig Van Beethoven, pur raggiungendo talora delle vette altissime, nel genere della sonata per violino e pianoforte non è stato un grande innovatore, eccezion fatta forse per la sonata “A Kreutzer” ed in ogni caso limitatamente al primo movimento. Questo non certamente perché Beethoven sottovalutasse il genere o non gli fosse del tutto congeniale (tutt’altro), ma semplicemente perché la grande innovazione in quel campo era stata già compiuta prima di lui da un altro grandissimo compositore, Wolfgang Amadeus Mozart.

In epoca barocca le sonate per violino e cembalo si caratterizzavano dall’assoluta predominanza del violino, fungendo il cembalo soltanto da basso continuo. Successivamente, nella metà del settecento, le parti si invertirono totalmente, il pianoforte (prima cembalo, poi forte-piano) assunse il compito di solista, mentre il violino si limitò ad eseguire il ripieno o comunque ad accompagnare. Con Mozart, soprattutto nelle ultime sue sonate, il violino ed il pianoforte hanno pari dignità, intessendo un dialogo fra i due strumenti che rappresenta la nascita della moderna sonata per violino e pianoforte. La celebre sonata in fa maggiore op. 24 (la n. 5) detta Primavera (ma a tutt’oggi si ignora l’autore di tale epiteto, certo non Beethoven), eseguita come seconda dalle splendide musiciste (di loro parleremo più appresso) dimostra appunto con ogni evidenza il tributo che Beethoven deve all’illustre predecessore. Infatti potremmo definirla una sonata “Mozartiana”, tanto è intrisa di quella inarrivabile tenerezza ed amabilità propria delle sonate del grande compositore austriaco; in particolare ascoltando la sonata K 378 di Mozart ci si rende perfettamente conto di quanto Beethoven si sia ispirato ad essa nel comporre la Sonata Primavera, senza peraltro raggiungere il perfetto equilibrio della sonata mozartiana. Tuttavia la sonata op. 24, anche se emulativa delle sonate di Mozart, in particolar modo nel finale Rondò Allegro ma non troppo – classico rondò alla francese di cui Mozart è stato maestro indiscusso – presenta degli aspetti molto interessanti e di novità: innanzitutto è la prima sonata articolata in quattro movimenti (mentre ancora con Mozart le sonate per violini e piano constavano di tre o di due movimenti); il secondo movimento, adagio molto espressivo, raggiunge nell’episodio centrale momenti di elevata profondità; il breve scherzo Allegro molto, anticipa chiaramente Schumann; ma soprattutto si evidenzia il tema cantabile con cui inizia il primo movimento, un incipit di indicibile dolcezza, che ha reso la sonata così famosa ed al quale probabilmente si deve il soprannome “Primavera”. Decisamente più “beethoveniana” la sonata in sol maggiore op. 30 n. 3 (l’ottava sonata per violino e pianoforte). Ultima delle tre sonate dedicate ad Alessandro I di Russia, presenta due movimenti estremi molto concitati e ritmati, il primo – Allegro assai, caratterizzato da un tema irruento, quasi violento, all’unisono, con il quale inizia la sonata, alternato da un tema più lirico, ove comunque prevale l’elemento ritmico, ed un terzo movimento – Allegro vivace, che costituisce un vero e proprio moto perpetuo, ricco di vitalità. Il movimento centrale, – Tempo di minuetto, ma molto moderato e grazioso – non ha nulla del tradizionale minuetto settecentesco, e l’indicazione di Beethoven “ma molto moderato e grazioso” ce lo fa capire subito: infatti si tratta di un canto esteso, dolce e affettuoso, basato su un tema intriso di malinconia, tipicamente beethoveniano, più assimilabile ad un adagio che ad un minuetto. La sonata in sol maggiore op 96, la decima ed ultima sonata di Beethoven per violino e pianoforte, anche se potrebbe anch’essa definirsi “Mozartiana” per via della tenera vaghezza dei suoi temi, del sereno distacco, della trasfigurata malinconia, in realtà si tratta di un capolavoro assoluto che dimostra la maturità raggiunta da Beethoven nel genere. L’equilibrio dei quattro tempi che compongono la sonata è mirabile. Il primo movimento Allegro moderato, è di una eleganza cristallina difficilmente riscontrabile nelle altre sonate per violino di Beethoven; l’adagio espressivo raggiunge momenti di intensa liricità, lo scherzo allegro, che attacca subito, pieno di energia, precede il poco allegretto finale, un tema con variazioni fra le più belle composte dal musicista di Bonn, in particolare la penultima – adagio -, commovente e momento topico di tutta la sonata.

Le due musiciste Francesca Dego al violino e Francesca Leonardi al pianoforte, che saranno impegnate anche prossimamente nell’esecuzione integrale delle sonate per violino e pianoforte di Beethoven, hanno regalato al folto e attento pubblico del Palacultura una interpretazione magistrale. Ci ha impressionato in particolare il perfetto affiatamento delle due esecutrici, (un perfetto unisono nel primo movimento dell’op. 30 n. 3), la felicissima scelta dei tempi, la sicurezza ma soprattutto la capacità espressiva con cui hanno eseguito le tre sonate, assai diverse fra loro. È stata una grande emozione ascoltare due musiciste italiane eseguire Beethoven in maniera così egregia sia sotto il profilo tecnico che espressivo. Alla fine del concerto le due musiciste, applauditissime, hanno concesso due bis: “variazioni sul capriccio n. 24 di Paganini” del compositore polacco Karol Szymanowski, di modesto valore artistico, lontane dalle splendide variazioni composte per pianoforte da Brahms sullo stesso tema, ma molto difficili da eseguire per il notevole virtuosismo che le contraddistingue, e la gradevole e brevissima “Danza dei piccoli moretti” di Ferruccio Busoni. Non vediamo l’ora di rivedere le due “Francesche” alle prese con le altre sonate di Beethoven.

Giovanni Franciò

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