Ludovica Rana, Alessandro Taverna e la poesia di Beethoven

Ludovica Rana, Alessandro Taverna e la poesia di Beethoven

Giovanni Francio

Ludovica Rana, Alessandro Taverna e la poesia di Beethoven

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lunedì 11 Aprile 2016 - 06:03

I due acclamati musicisti hanno eseguito al Palacultura le grandi sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven insieme all'ultima sonata di Chopin.

Ludovica Rana al violoncello e Alessandro Taverna al pianoforte hanno eseguito al Palacultura, nell’ambito dei filoni “Progetto Beethoven” e “Progetto Chopin”, due fra le sonate più importanti di questo genere musicale, la sonata op. 69 di Beethoven e la sonata op 65 di Chopin. Ludwig van Beethoven ha composto cinque sonate per violoncello e pianoforte fondamentali sotto il profilo storico musicale, in quanto per la prima volta nella musica da camera il violoncello assume dignità pari allo strumento con cui dialoga, e non si limita ad accompagnare il piano solista. Come giustamente afferma Carli Ballola, con queste sonate “ha inizio, praticamente, un nuovo capitolo della storia della musica da camera”. Le sonate però sono anche importantissime per il loro sommo valore estetico, e l’op. 69, come le ultime due (op. 102) sono rimaste praticamente ineguagliate. Il concerto si è aperto con l’esecuzione dell’op. 5, n. 2, la seconda delle sonate per violoncello di Beethoven, composta insieme alla n. 1 nel 1795, da un Beethoven venticinquenne, per il famoso violoncellista francese J.P. Duport. Due anni dopo il violoncellista, maestro di violoncello dell’imperatore Federico Guglielmo II, eseguì a corte la sonata con al piano lo stesso Beethoven, il quale ricevette da un soddisfatto imperatore una tabacchiera d’oro piena di monete, come si usava all’epoca. La sonata consta di due tempi il primo: Adagio sostenuto ed espressivo – Allegro molto più tosto presto, nel quale un intenso adagio, denso e introspettivo, precede l’Allegro strutturato fondamentalmente su due temi, il secondo dei quali bellissimo, appassionato e pieno di slancio, tipicamente beethoveniano. Qui vi è un continuo intreccio dialogante fra piano e violoncello, trattati alla pari, cosa che non accade del tutto, invece, nel secondo movimento – Rondò – di gran lunga più breve del primo, in cui il pianoforte sembra prendere decisamente il sopravvento (dopo tutto Beethoven era un pianista). La Sonata op. 69, nei suoi quattro tempi: Allegro ma non tanto; Scherzo: Allegro molto; Adagio cantabile; Allegro vivace, rappresenta una delle creazioni più prodigiose del musicista di Bonn. Composta ben tredici anni dopo l’op. 5, e dedicata all’amico barone Ignaz von Gleichenstein, è un capolavoro ricco di poesia, dove tutto e nobile e luminoso. In tutti i quattro movimenti il suono caldo del violoncello dialoga con il pianoforte in continua domanda e risposta, cantando molteplici temi uno più bello dell’altro, e l’intera sonata sembra infondere un senso di gioia e serenità, appena venata da qualche ombra di malinconia, in particolare nello Scherzo.

Una delle poche sonate per violoncello e pianoforte che può competere con quelle di Beethoven è proprio l’op. 65 di Frederick Chopin, eseguita nella seconda parte del concerto. Si tratta dell’ultima opera pubblicata da Chopin (le opere da op. 66 a op.74 sono postume), e una delle ultime composizioni del grande musicista polacco, il quale, se dedicò quasi tutta la sua opera al pianoforte solista, nondimeno aveva una predilezione per il violoncello, a cui ha dedicato alcune pagine, fra le quali questo splendido capolavoro. La sonata, dedicata all’amico violoncellista Auguste Franchomme, consta di quattro movimenti: il primo “Allegro moderato” di difficile esecuzione, brano molto complesso, precursore addirittura della musica del novecento, che lasciò perplessi anche i suoi colti amici musicofili, tanto che Chopin, nella prima esecuzione della sonata, nel suo ultimo concerto a Parigi nel 1848, decise addirittura di ometterlo. Il secondo, “Scherzo” di chiara influenza beethoveniana, con un secondo tema inconfondibilmente chopiniano; il terzo, Largo, un intenso dialogo sommesso fra i due strumenti; infine il Finale: Allegro, ricco di interessanti spunti musicali.

L’esecuzione dei due musicisti è stata all’altezza delle ardue sonate per quanto riguarda l’op. 2 di Beethoven e soprattutto per la sonata di Chopin, in cui il duo ha saputo trovare i tempi giusti ed in particolare Alessandro Taverna ha sfoggiato una padronanza tecnica e sensibilità di tocco degni di rilievo. Non ci ha convinto invece l’esecuzione dell’op. 69, apparsa, se pur nell’ambito di una performance più che dignitosa, nervosa, poco fluida, tutto sommato insicura, con riferimento particolarmente al violoncello, che a volte non è riuscito a restituire quel suono nobile e caldo, quella “magia” che la sonata sa regalare. I due artisti hanno concesso al pubblico (sparuto, ancora una volta!) come bis, il “Saluto d’amore” op. 12, di Elgar (originale per violino e pianoforte) un breve brano cantabile, di sapore romantico.

Giovanni Franciò

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