È morto Luciano Pellicani, sociologo e antropologo, socialista riformista, lontano dal marxismo-leninismo, pensatore antitotalitario e intellettuale fuori dal coro.
L’11 aprile è morto a Roma Luciano Pellicani, stroncato da una polmonite probabilmente provocata dal coronavirus Covid-19. Tutto il mondo accademico lo piange. Sociologo, giornalista, accademico, aveva 81 anni compiuti da un solo giorno. Una grave perdita per l’università e per la politica, il vuoto che lascia è grande.
Pellicani ha insegnato Sociologia politica e Antropologia culturale all’Università LUISS di Roma. Importante pensatore italiano, è stato parte di taluni processi politici del nostro paese. Si dichiarava socialista riformista, è stato vicino a Bettino Craxi, collaborò attivamente con il Psi, diresse il mensile di area socialista Mondoperaio, traghettando nel complesso la sinistra italiana verso un rinnovamento e uno smarcamento dal comunismo di stampo leninista, lontano da quel comunismo vissuto come una fede religiosa che tradiva l’ispirazione originaria.
Dal marxismo-leninismo derivava naturalmente il totalitarismo sovietico, sosteneva Pellicani. Il socialismo democratico e riformista da lui propugnato, dunque, si opponeva radicalmente al leninismo, rappresentando il versante del pluralismo opposto a quello del collettivismo statalista dell’Unione Sovietica.
Era solito dire che «il comunismo non era una buona idea realizzata male. Era proprio un’idea sbagliata», considerazione che sviluppò durante gli anni della sua formazione universitaria. Per questo fu additato come “cripto-fascista”, agente dissolutore della sinistra in Italia. L’incontro con Craxi e l’amicizia reciproca lo abilitarono nel mondo intellettuale italiano. Deluso dall’esperienza del Psi in seguito allo scandalo di Tangentopoli, criticò nondimeno il giustizialismo di Antonio Di Pietro, inimicandosi parte dell’area di riferimento.
Luciano Pellicani ha scritto, tra l’altro, “La genesi del capitalismo e le origini della modernità” (Marco editore), “Dalla società chiusa alla società aperta” (Rubbettino), “Jihad: le radici” (LUISS University Press”, “La società dei giusti. Parabola storica dello gnosticismo rivoluzionario” (Rubbettino), “Anatomia dell’anticapitalismo” (Rubbettino), “Saggio sulla genesi del capitalismo” (SugarCo), “Lenin e Hitler. I due volti del totalitarismo” (Rubbettino). Tutti questi lavori vigilano su un sempre possibile ritorno del totalitarismo sotto varie forme, e Pellicani non ha mai smesso di ammonire i governanti contro eventuali riproposizioni di schemi autoritari.
Avevo di recente incontrato Pellicani per motivi di ricerca. La mia tesi dottorale contiene una sua intervista inedita (di prossima pubblicazione), un lungo dialogo frutto di due incontri tenuti a casa sua nel luglio del 2019. Pellicani si lamentava del fatto che le riviste scientifiche hanno spesso evitato di pubblicare i suoi articoli «perché li consideravano “troppo di destra”». Da questa e da altre esperienze è maturato il suo proposito di «debolscevizzare la sinistra italiana». Una impresa che lo ha condannato ad essere una perenne voce fuori dal coro, un intellettuale libero da condizionamenti esterni, autonomo nei giudizi e retto nel suo percorso accademico.
Sul finire del nostro dialogo, Pellicani aveva sollevato due ulteriori problemi che secondo lui il mondo dovrà affrontare nei prossimi anni, e cioè l’ecologismo, ideologia sempre più potente e pervasiva nonché foriera di non pochi pericoli, e i flussi migratori dall’Africa, di cui ancora non si vede la fine. La sua opinione era nera su entrambi i fronti.