Anche a Messina, il team di studi facente capo l'ordine dei Geometri con il prof. Franco Ortolani lo ribadisce da un anno: prevenire è meglio che curare
L’estate è finita, e con l’inizio dell’autunno siamo nuovamente qui a fare i conti con frane e smottamenti, esattamente come l’anno scorso, esattamente come due anni fa.
La causa di questa situazione è molteplice. Da un lato, innanzitutto, l’elemento scatenante è, senza ombra di dubbio alcuna, l’estremizzazione del clima e i fenomeni violenti dell’atmosfera, sempre più frequenti. Dall’altro c’è l’abbandono del territorio di montagna e di campagna, la sua fragilità dovuta in parte a fenomeni naturali (piogge sempre più frequenti e abbondanti), in parte ad attività umane invasive nei confronti della natura.
Fatto sta che è di nuovo emergenza. E dopo Cavallerizzo, Soverato, Vibo Valentia, Rogliano, Maierato, Giampilieri, Scaletta Zanclea, Caronia, San Fratello e molte altre frazioni di Calabria e Sicilia, adesso è stata la volta di Reggio Calabria città.
E, in fin dei conti, è andata bene.
E’ andata bene rispetto a ciò che sarebbe potuto accadere, rispetto a ciò che si sarebbe potuto verificare, rispetto ai tanti episodi in cui s’è sfiorata la tragedia ma che, per fortuna, si sono conclusi in modo fortunato.
Ma questo non sarà certo l’ultimo episodio dissesto idrogeologico in Città, in Provincia, nella Regione e al Sud in generale. Anzi … è solo l’inizio della stagione delle piogge che da qui fino al prossimo aprile/maggio potrebbe dar vita ad altri fenomeni estremi.
Bisognerebbe cogliere quest’episodio come campanello d’allarme per fronteggiare al meglio un problema serio, un’emergenza grave che va affrontata con urgenza perchè davvero non c’è tempo da perdere.
Per fronteggiare il dissesto idrogeologico, la legislazione italiana prevede diversi tipi di interventi che sono regolamentati dalla legge n° 225 del del 24 febbraio 1992, la legge dell’Istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile.
Al secondo articolo, terzo comma, la legge prevede che proprio alla Protezione Civile spettano le competenze in materia.
La Protezione Civile, infatti, dovrebbe intervenire in tre settori: previsione, prevenzione e mitigazione.
La previsione consiste nelle -attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi-.
La prevenzione consiste nelle -attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi calamitosi anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione-.
La mitigazione consiste nelle attività di soccorso, con -l’attuazione degli interventi diretti ad assicurare alle popolazioni colpite ogni forma di prima assistenza-.
Siamo sicuri che ciò avvenga in Italia?
Dobbiamo innanzitutto riconoscere, e anzi esserne orgogliosi, che la Protezione Civile Italiana sia una delle migliori al mondo per quanto riguarda il terzo settore di intervento, quello del soccorso e della mitigazione. E non solo per la passione, la solidarietà, l’amore e lo spirito di sacrificio di chi, in carne e ossa, svolge questo tipo di operazioni, ma anche per un tipo di approccio culturale, di una mentalità tutta Italiana per cui, forse inconsciamente, -curare è meglio che prevenire-, perchè, in fondo, prevenire significa lavorare su qualcosa che non è detto debba per forza poi verificarsi.
Infatti, a fronte di una grande eccellenza della nostra Protezione Civile in questo settore, bisogna anche riscontrare, purtroppo, gravissimi handicap negli altri due settori di intervento, che sono antecedenti rispetto alla mitigazione e che potrebbero evitare i fenomeni calamitosi, prevenendoli.
In questo tipo di situazione, le Responsabilità degli Enti Locali sono solo parziali. Su tematiche legate alla Protezione Civile e alle Emergenze Ambientali, i Comuni e le Province hanno le mani legate dalla nostra legislazione. Possono fare poco o nulla. Nel caso dei Comuni, hanno competenza innanzitutto sulla manutenzione delle fiumare, che bisogna mantenere libere da elementi di ostruzione al naturale scorrimento delle acque. Spetta anche ai Comuni la cura e la manutenzione delle reti idriche e fognarie, e la cura dei piani regolatori per definire le modalità di urbanizzazione dei territori comunali. Le Province, poi, possono fare ancora meno: hanno competenza sulla manutenzione di alcune reti viarie stradali.
Sicuramente, qualora i Comuni e le Province ottemperassero in modo efficiente quelli che sono i loro compiti, le nostre Città e i nostri Paesi avrebbero meno danni e disagi quando (e capita spesso) per poche gocce d’acqua si otturano i tombini perchè non curati, si rompe l’asfalto delle strade perchè abbandonato, esondano le fiumare perchè ostruite e non ripulite.
Ma i fenomeni più estremi, quelli stile Giampilieri e Scaletta Zanclea, Sarno, San Fratello, Maierato, Rogliano o anche molti altri nella storia d’Italia, anche al centro/nord, non possono essere arginati dagli interventi di ordinaria manutenzione di Comuni e Province. Questi interventi sopra elencati servono per la normale quotidianità, dovrebbero essere scontati e automatici nele attività amministrative di ogni Provincia e di ogni Comune.
Per individuare le responsabilità più serie, più marcate sulla tematica del dissesto idrogeologico legato ai grandi eventi e alle più gravi calamità, bisogna andare più in alto e cioè proprio alla Protezione Civile e in modo particolare alle Regioni, che hanno competenza in ordine alla materia di Protezione Civile.
La Protezione Civile Italiana, negli ultimi anni ha fatto grandi passi avanti anche nel settore della previsione e della prevenzione, con l’aiuto della comunità scientifica e delle migliori Università Italiane. Ma è ancora troppo poco, anche e soprattutto perchè dai vari Governi, di destra o di sinistra che siano, gli stanziamenti di fondi per questo tipo di attività avvengono col contagocce, proprio perchè nel nostro Paese manca quella cultura politica della prevenzione e si preferisce aspettare che gli eventi si verifichino per poi intervenire con i soccorsi e la mitigazione.
Ormai, però, nel 2010, anno in cui un terremoto del nono grado della scala richter fa praticamente il solletico a un Paese come il Cile che, evidentemente, ha un sistema di protezione civile all’avanguardia nel settore della previsione e della prevenzione (e se non sono bravi come noi nei soccorsi e nella mitigazione poco gli importa, perchè molto raramente si trovano in condizioni che richiedono interventi di soccorso come siamo invece abituati, in Italia, troppo spesso), bisognerebbe crescere a tal punto da arrivare proprio a prevenire questo tipo di fenomeni.
Queste riflessioni dovrebbero far capire a chi di competenza che prevenire è effettivamente meglio che curare, e che se la nostra Protezione Civile è diventata la migliore del mondo nei soccorsi lo è proprio per una storia fatta di grandi calamità, di catastrofi sismiche e idrogeologiche molto gravi ingigantite e acutizzate dalla totale assenza della prevenzione.
Ma allora la Protezione Civile, tramite le Regioni nei vari territori, cosa dovrebbe fare per fronteggiare il dissesto idrogeologico?
Richiamandoci alla legge n° 225 del del 24 febbraio 1992, possiamo anche noi parlare di -previsione- e -prevenzione-.
Innanzitutto la previsione consiste, l’abbiamo già scritto, nelle attività volte a studiare le cause dei fenomeni estremi, nell’identificazione dei rischi e delle aree soggette. Dovrebbe essere chiaro, insomma, quali zone sono a rischio calamità naturali (in questo caso frane e alluvioni, ma lo stesso discorso vale anche per terremoti, maremoti o eruzioni vulcaniche) e quali sono le cause di questi stessi fenomeni. Solo così si può intervenre nel posto giusto, e nel modo giusto.
Anche su questo, tutto sommato, la Protezione Civile Italiana è all’avanguardia, grazie al contributo di enti scientifici italiani molto prestigiosi a livello internazionale (Ingv e Cnr su tutti). Ma si tratta della teoria.
Poi, la pratica dev’essere quella della prevenzione, che consiste nelle attività volte a ridurre al minimo le possibilità che a seguito di eventi calamitosi si verifichino danni. Queste attività devono essere svolte sulla base delle conoscenze acquisite con gli studi di cui abbiamo già parlato, che in Italia ci sono e sono chiarissimi.
Il problema è che non si interviene, il problema del dissesto idrogeologico non viene preso di petto e pochi sono i fondi a disposizione perchè mai nessun Governo è stato sensibile al problema.
Anche l’attuale Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, l’ha confermato pochi mesi fa, dopo che la Legge Finanziaria 2010, all’articolo 2, comma 240, ha destinato al Piano Straordinario contro il rischio idrogeologico 1 miliardo di euro, già assegnato dal Cipe con la delibera del 6 novembre 2009. “Ma questo primo piano straordinario – ha detto il Ministro – non potrà che essere l’inizio. La realtà del dissesto idrogeologico che interessa territori dell’80% dei comuni italiani, richiederà negli anni a venire impegni costanti per far sì che nel medio-lungo termine possa essere realizzata una grande operazione-sicurezza per l’ambiente italiano e per le popolazioni che vivono nelle zone a rischio”.
Ci vuole tempo, insomma, ma bisogna premere sull’acceleratore perchè la situazione è davvero molto grave e richiede interventi urgenti e straordinari.
Ne ha bisogno il territorio, quello del sud in modo particolare, che ogni mese ormai si trova a fare i conti con episodi di dissesto.
Quello di Reggio è stato solo l’ultimo, ma ce ne saranno altri.
A proposito di Reggio: una riflessione conclusiva su come la Città ha affrontato l’emergenza è doverosa. I cittadini si sono mobilitatati in modo solidale, e tantissimi volontari si sono recati nelle aree più colpite per aiutare la popolazione a fronteggiare l’emergenza in un momento di difficoltà, con grande dignità, mettendo da parte la rabbia e lo spirito polemicoso che, in situzioni di questo tipo, è sfogo naturale della psicologia umana.
Non sono mancate anche alcune polemiche, soprattutto da qualche esponente politico (per fortuna pochi) che ha provato a strumentalizzare i fatti di cronaca in termini squisitamente populistici, forse elettorali in vista della tornata della prossima primavera, ma si è trattato di tentativi fuoriluogo non tanto nel merito, ma anche e soprattutto nella forma, nella tempistica da -sciacalli-, cavalcando un fenomeno di questo tipo mentre la gente faceva i conti con i danni e i mezzi preposti lavoravano in modo eccezionale per ripristinare condizioni di normalità con il sudore della fronte e la vanga e il piccone in mano.
I più polemici sono intervenuti prendendosela con il Ponte sullo Stretto (ormai è un’abitudine! Anche quando la Reggina tornerà in serie C daranno la colpa al Ponte, che intanto ancora non c’è…), con la ‘ndrangheta (che intanto è impegnata nei suoi loschi traffici criminali mentre pianfica bombe, lettere minatorie, minacce e attentati nei confronti dei magistrati, dei politici e dei giornalisti onesti, figuriamoci se si mette a trafficare anche i temporali), con la -Città Metropolitana- (deridendo e sbeffeggiando quella che è stata la più grande conquista politica della storia della Città di Reggio: un titolo i cui benefici, di proporzioni storiche e inimmaginabili, si avranno nei prossimi anni con l’entrata in vigore del Testo Unico sugli Enti Locali) o addirittura col Tapis Roulant (-quei soldi potevano essere spesi per altre cose-, dicono i più populisti e qualunquisti, non sapendo o facendo finta di non sapere che il Tapis è stato costruito con fondi vincolati del Ministero ai Trasporti che non sarebbero mai arrivati a Reggio senza la realizzazione di quel progetto).
Su situazioni di questo tipo bisognerebbe, invece, fare fronte comune, unire le forze e innanzitutto combattere l’emergenza, poi organizzarsi per stimolare chi di competenza a investire sulla prevenzione affinchè gli errori del passato insegnino per il futuro, in modo tale che fenomeni di questo tipo non si verifichino più.
E non certo quelli naturali, che ci saranno sempre: in fin dei conti, vista l’eccezionalità davvero straordinaria del fenomeno naturale, a Reggio è andata molto bene. E lamentarsi, lo ripetiamo ancora una volta, per un aereo dirottato o per un pezzo d’asfalto staccato quando s’è rischiata una grande tragedia che, per fortuna, è stata evitata, sembra davvero presuntuoso.
Anche perchè con tutta quell’acqua, 130mm di pioggia violentissima caduta in meno di 90 minuti, sarebbe accaduto lo stesso in tutte le Città del mondo, anzi anche di peggio in realtà più esposte a crolli, voragini e frane -vedi Roma e Napoli – o ad allagamenti e inondazioni, vedi Firenze o Milano, dove il Lambro è esondato nel Parco di Monza poche settimane fa dopo un breve nubifragio di poco superiore ai 50mm. Eppure anche quelle sono tutte Città Metropolitane …
L’unica differenza è il trattamento mediatico riservato dai media nazionali, pronti a scrivere pagine e pagine di giornali e aprire tutti i Tg non appena 4 gocce d’acqua bagnano il catino padano, per poi essere totalmente muti e silenziosi sui violenti episodi di maltempo che nei giorni scorsi hanno coinvolto tutto il Sud.
Su MeteoWeb.it, portale di meteorologia visitato da migliaia di appassionati dell’Italia centro/settentrionale, sono tantissimi i commenti di cittadini del centro/nord davvero increduli rispetto alle fotografie di Reggio Calabria.
Senza l’informazione online non avrebbero saputo nulla. Tv e giornali non ne hanno parlato quasi per niente.