Non si è spento un semplice intellettuale, se ne è andato per sempre un tesoro vivente
Non è affatto una bella giornata. Se ne è andato un grande. E forse questa è una delle poche occasioni ahinoi, in cui spendere l’aggettivo “grande” per descrivere una persona non è affatto fuori luogo. Se ne è andata l’anima della Sicilia. Nemmeno pensare alla veneranda età a cui la sorte lo aveva condotto, risparmiandogli l’onta del decadimento intellettivo, può essere di conforto e consolazione a tutti quelli che lo hanno sentito vicino e che attraverso i suoi romanzi hanno amato la Sicilia e amando la Sicilia hanno amato un intero mondo. No! Oggi un brivido commosso di dispiacere – ne sono certo – ha travolto tutti. Anche quelli che non amavano le sue letture e i mondi che queste descrivevano e anche quelli che irriverentemente schernivano il suo pensiero. Perché? La risposta è presto detta. Perché oggi se ne è andato un “nonno”. E nonno era Camilleri di tutta l’Italia, quieto e saggio sacerdote della più fine arte della scrittura, maestro di ironia, di arguzia, di pietà. Quando muore un nonno ci si sente più soli, spaesati, affannati alla ricerca di una voce che possa fare da guida nell’oblio.
L’Italia che pensa è a lutto. Non vedremo più i suoi capelli canuti spuntare dalla fedele Coppola scura, la sua voce sonora e mai invadente, non “invaderà” piacevolmente più le nostre case. Il “maestro” Camilleri, come non amava farsi chiamare, non c’è più. Sarebbe quanto mai lapalissiano indulgere nella banale affermazione che continuerà a vivere attraverso le sue opere. Questo è scontato. Non lo è invece pensare che adesso bisognerà fare in modo che sia lui la nostra forza per combattere l’operazione di chi vorrebbe annichilire ed umiliare la coscienza civile.
Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo di persona personalmente; mi resta il rimpianto di non avergli potuto, tra mille rinvii, far dono di una lettera autografa di suo nonno Andrea Camilleri “Don Nenè”, commerciante in Girgenti che lui spesso ricordava e che ha ispirato il personaggio principale di uno dei suoi primi romanzi, “Un filo di fumo” (Sellerio, 1980). La missiva, inviata nel 1868 al noto commerciante messinese di origine tedesca Wolf Rabe, trattava dell’acquisto di una partita di zolfo.
Camilleri era un artista prezioso, che di certo avrebbe meritato il Premio Nobel per la letteratura solo per aver fatto rivivere, scoprire e riscoprire l’arte del dialetto e del “cuntu” siciliano. Ma lui, si sa, non bramava allori.
Anche Messina gli è debitrice. Come ricorda lo storico Marco Grassi, lo sfortunato Teatro in Fiera fu inaugurato nel 1977 con uno spettacolo teatrale a firma di Biagio Belfiore e dello stesso Camilleri. Si trattava di “Merli di Malvizi”, dedicato alla rivolta antispagnola di Messina. Potremmo continuare a lungo, ma il rispetto che si deve a quella che era una delle sue cifre e virtù, l’essenzialità, impone di non proseguire oltre. Resta solo l’amaro di aver perso uno degli ultimi fari in un Paese al buio.
Vittorio Tumeo