La storia di Maria, per 8 mesi in casa protetta, ora autonoma e consapevole. Tornerà con il marito che ha completato un percorso "rieducativo"
MESSINA – La chiameremo Maria ed è chiaramente un nome di fantasia perché raccontare la sua storia non è affatto semplice. Maria è una giovane donna originaria dello Sri Lanka, ma potrebbe essere tranquillamente italiana, europea, o di qualsiasi altro luogo del pianeta. Perché lei, come tante altre donne che quotidianamente vivono il suo stesso dramma, per 8 anni è stata vittima di violenza, soprattutto psicologica e verbale, da parte del marito. Madre di una bambina di 5 anni, ha deciso di denunciarlo ai carabinieri ed è stata così supportata da un Centro d’accoglienza per donne vittime di violenza gestito dalla cooperativa “Raggio di sole“.
La storia: “Qui da 8 anni”
A lei il racconto di quella che è la sua storia: “Sono arrivata qui in Italia 8 anni fa. Lui stava bene, ma pian piano qualcosa è cambiato. Ha iniziato a diventare aggressivo, violento, a insultare e ad alzare le mani. Arrivata qui non sapevo come funzionasse in Italia. Io non parlavo una parola, avevo paura a dire qualsiasi cosa a un’altra persona. Dopo però la situazione è peggiorata, così ho deciso di andare dai carabinieri e denunciare. Mi hanno portato in un altro posto, in una casa protetta”.
In casa protetta per 8 mesi
Da lì, da quella casa protetta in cui è arrivata 8 mesi fa, Maria e la figlia sono tornate a vivere: “Io sono cambiata, mi sento diversa. Mi sento più forte, so di poter parlare e ho capito che tante cose sono diverse rispetto a come sono nel mio Paese. Prima mi sentivo sola e avevo paura, ora non ho paura mai. Avevo il timore di stare da sola in un paese non mio, perché fino ad ora non ero mai stata sola. E in più non potevo fare niente senza di lui: andavo al supermercato e lui arrivava, andavo in farmacia e lui arrivava pure lì”.
La bambina vittima di “violenza assistita”
In tutta questa vicenda, ha un ruolo da protagonista anche la bambina: “Prima lei era molto vivace, attiva, ora invece è calma. Lei non ha subito alcuna violenza fisica, sia chiaro. Lui è stato un bravissimo papà per mia figlia. Solo che la bambina assisteva a quello che lui faceva a me e aveva paura. Anche oggi se sente qualcuno gridare lei ha paura”. Il tipo di violenza a cui è stata sottoposta la figlia di Maria si chiama “violenza assistita”. Per questo la piccola è stata seguita in questi otto mesi da una neuropsichiatra, da un’assistente sociale e da una psicologa per accompagnarla “lontano” da questo trauma.
La coppia tornerà insieme
E in questi otto mesi tante cose sono cambiate. Se Maria si sente più forte, e così è anche per sua figlia, un percorso “positivo” è stato intrapreso anche dal marito della donna. Lei ha acquisito consapevolezza di cos’è la violenza e oggi lavora, vuole studiare e migliorarsi, va in palestra e socializza. Lui ha completato in maniera positiva il proprio percorso rieducativo e il giudice permetterà alla coppia di ricongiungersi, per ripartire in maniera diversa. Maria ammette: “Sono felice, perché l’ho visto cambiato. Ma lui sa bene che se dovesse farmi di nuovo male io lo lascerei subito. Io oggi mi sento più forte, non ho più paura di lui”.
L’appello: “Pensate a voi stesse”
“Alle altre donne che subiscono violenza – conclude Maria commuovendosi – dico di non avere paura e di pensare anche a loro stesse. Nel mio Paese la donna viene spesso sottomessa, ma l’uomo non è sopra la donna. Ci sono tante persone che ancora non lo hanno capito. Sta a noi non avere paura di nessuno. Non va bene non potermi vestire come voglio, non poter parlare con nessuno, non poter guidare. Io voglio studiare, voglio guidare perché ho visto tante donne farlo qui in Italia e penso: perché io non posso? Voglio continuare a lavorare e migliorarmi sempre”.
Il “lieto fine” che non c’è sempre
Ciò che deve essere chiaro, però, è che non sempre si raggiunge un “lieto fine”. In questo caso specifico Maria ha avuto la forza di denunciare e di lasciarsi aiutare, riuscendo a risollevarsi e a raggiungere una consapevolezza tale da farle acquisire un grado di autonomia con cui poter gestire anche il ricongiungimento. E dall’altra parte, anche il marito di lei ha completato un percorso “rieducativo” grazie al quale gli sarà permesso di tornare insieme alla moglie e alla figlia. Non sempre questo accade e ogni giorno si assiste a donne vittime di violenza che restano imbrigliate in una maglia fitta fatta di burocrazia e tribunali, spesso non in grado di essere tempestivi nell’aiutarle.
Mi auguro di cuore che “Maria” possa risorgere da quell’ abisso, ma che soprattutto lui abbia completato realmente il suo percorso “riabilitativo”. Altrimenti sarebbe stato tutto vano. Mi auguro soprattutto che adesso NON vengano lasciati soli, e che si verifichi come vanno le cose, nel tempo. L’ altra vittima, oltre la madre, è la piccola, non dimentichiamo!!! La ” violenza assistita” lascia il segno…😔😔