Le strutture non avrebbero idonei requisiti igienico-sanitari, ma diversi controlli attestano il contrario. Probabile ricorso al Tar. Le spiegazioni dell'ormai ex dirigente ai servizi sociali De Francesco, che ha firmato la determina comunale. Gallery di Dino Sturiale
22 case di riposo da chiudere. Oltre 400 anziani sradicati dal loro habitat. Un centinaio di posti di lavoro persi. 22 titolari, con le loro famiglie, che pérdono la propria attività. Sembra si sia abbattuto un tornado sulle strutture per anziani messinesi. Si tratta invece solo della messa in pratica, da parte del Comune di Messina, della circolare regionale numero del 2 del 2003 avente ad oggetto: “autorizzazione per l’esercizio di attività connesse alla gestione di strutture residenziali e standard per strutture private iscritte agli albi comunali”.
La circolare prescrive che le strutture abbiano determinati requisiti strutturali “uniformati alle vigenti prescrizioni in materia di edilizia, urbanistica, pubblica sicurezza, prevenzione incendi, igiene e sanità sui luoghi di lavoro”. Le prescrizioni riguardano un determinato numero di metri quadri per tutte le stanze in uso, oltre alla presenza di servizi igienici in rapporto di uno ogni quattro utenti e di uno per disabili ogni dieci ospiti. Per quanto riguarda i requisiti organizzativi e funzionali, poi, “è richiesta la presenza di un infermiere professionale reperibile 24 ore, un assistente sociale o psicologo o educatore professionale e un animatore”. Ed inoltre “assistenza alberghiera completa con obbligo di approntare tabella dietetica giornaliera redatta da un dietologo e vistata dal servizio competente dell’Azienda Sanitaria, presenza di un coordinatore responsabile della struttura e assistenza tutelare per 24 ore garantita dalla presenza di operatori”. Ulteriori adempimenti previsti l’”adozione di un registro degli ospiti e predisposizione per gli stessi di cartelle riportanti i dati personali, le diagnosi sulle condizioni psicofisiche e l’indicazione delle terapie adottate e l’adozione di una carta dei servizi assicurati all’interno della struttura riportante anche le tariffe praticate e le prestazioni ricomprese”. Infine “Le amministrazioni comunali dovranno annualmente, entro il 30 giugno, procedere alla revisione delle strutture iscritte nell’albo comunale circa il mantenimento dei requisiti strutturali ed organizzativi e circa il rispetto delle direttive di cui ai punti precedenti”.
E’ questa la mannaia che si è abbattuta sulle 22 case di riposo, la circolare regionale numero 2 del 2003. Abbiamo ascoltato l’ormai ex dirigente del dipartimento servizi sociali, Salvatore De Francesco, che ha firmato la determina: “Noi abbiamo solo preso atto di condizioni pregresse, per essere in regola bisogna avere autorizzazioni amministrative che mancavano, in alcuni casi non c’erano persino le autorizzazioni sanitarie. Abbiamo valutato caso per caso, non appena verranno prodotte le autorizzazioni potranno immediatamente riaprire. Le strutture devono attestare al dipartimento che hanno l’agibilità. Facciano la Scia (la Segnalazione Certificata di Inizio Attività, ndr) e il problema sarà risolto. Noi non facciamo altro che prendere atto della mancanza di requisiti. Bisogna mettersi tutti in regola”. La determina comunale avente ad oggetto “inibizione attività a carico della struttura socio-assistenziale” obbliga “di provvedere tempestivamente, entro 20 giorni dalla notifica, al trasferimento degli anziani ospiti presso le famiglie di appartenenza o altre strutture dotate dei requisiti di legge”.
Fin qui la circolare e il rappresentante dell’Amministrazione Comunale. Ma i proprietari delle case di riposo, rappresentati dalle strutture “Anni d’oro”, “Mimì” e San Martino”, non ci stanno: “Teniamo ad evidenziare che nei verbali dell’ASP che ci riguardano viene accertato che le nostre strutture possiedono i requisiti igienico-sanitari, ed anche quelli funzionali ed organizzativi richiesti dalla circolare suddetta. Le irregolarità attengono quindi solo ad aspetti strutturali peraltro, ci permettiamo di dire, “intenzionalmente” non sopportabili dai piccoli imprenditori privati”.
I gestori spiegano che le case di riposo in questione sono nate da diversi anni, prima dell’entrata in vigore della circolare, e non ritengono di poter essere annoverate, come è stato fatto, tra quei “lager” che fanno notizia e che risultano giustamente chiusi: “Le case di riposo sono ad organizzazione familiare e consentono agli anziani una vita serena e protetta, anche con riferimento ai parenti, i quali non subiscono alcuna restrizione di tempi e modalità di visita. Chiunque interessato potrà rendersi conto di persona che gli ambienti sono puliti ed organizzati e gli anziani trattati con massimo rispetto e dignità, oltre che professionalità ed attenzione nelle cure impartite. Abbiamo subìto un grosso danno d’immagine”. Ed anche gli anziani ospitati e i loro parenti non hanno accolto di buon grado la notizia: “Alla comunicazione dell’inibizione all’attività inoltrata ai parenti con invito a prelevare i propri congiunti – continuano i proprietari di “Anni d’Oro”, “Mimì” e “San Martino” – , gli stessi hanno reagito manifestando il loro disappunto alla procedura e la volontà di mantenerli nel luogo prescelto e valutato più che idoneo. I nostri ospiti si sentono buttati fuori di casa. Le nostre case di riposo hanno ricevuto lettere da parte di tutte le famiglie coinvolte, che le hanno spedite anche agli organi competenti, Sindaco, Prefetto e Procura, nella speranza di essere ascoltati dalle autorità”.
Non manca un riferimento all’aspetto economico: “Le piccole case di riposo richiedono rette che vanno dai 700 ai 1000 euro, senza alcuna sovvenzione pubblica, a fronte della richiesta di 1650 euro mensili delle case di cura Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), e della retta superiore chiesta persino dalla casa di riposo comunale “Casa Serena”, comunque coinvolta dalla stessa procedura e che percepisce milioni di euro l’anno di contributi comunali. E non si pensa neanche a tutte le persone impiegate nelle case di riposo, che in epoca di crisi economica ed austerity si vedranno private dell’entrata fissa percepita, in molti casi unica risorsa. E non si pensa neanche ai titolari che perdono la propria attività gestita da anni”.
I tre gestori concludono: “Le nostre case di riposo si sentono sicure di aver sempre agito nell’interesse degli anziani ed a tutela della loro salute e vita. La tutela dell’anziano, tanto vantata dai servizi sociali, non viene certo garantita attraverso la “deportazione” degli anziani contro la loro volontà e la volontà delle loro famiglie e soprattutto ci si chiede dove? A questo punto ci si domanda qual è l’interesse, sicuramente non sociale, che spinge il Comune di Messina, a chiudere le case di riposo private, senza distinzione e contestando fatti smentiti dagli stessi verbali redatti dal personale ASP”.
Una considerazione, infine, di Alessi, gestore della casa di riposo “Anni d’oro”: “La nostra struttura ha 25 anni di attività alle spalle e 23 posti letto. Ci vengono richieste particolari autorizzazioni sanitarie ma noi svolgiamo un lavoro diverso, di assistenza a persone anziane che hanno bisogno di aiuto, ma non di essere ospedalizzate. Abbiamo ricevuto diverse “visite” dai Nas e dai vigili sanitari che hanno sempre riscontrato adatte condizioni igienico sanitarie. Le modifiche della circolare del 2003 non dovrebbero avere parametri retroattivi perché noi siamo impossibilitati ad ampliare i nostri locali o a prevedere un parcheggio o ad assumere ulteriore personale. Mandiamo avanti la struttura con le piccole pensioni degli ospiti, le cui rette vanno dai 750 ai 1100 euro. Avremmo costi insostenibili e i primi ad avere disagio sarebbero gli anziani stessi, senza contare che nelle 22 case di riposo si perderebbero un centinaio di posti di lavoro. Nessuno si è mai premurato di venire a vedere la situazione, di parlarne e di trovare una soluzione insieme. Il Comune parla di condizioni igienico-sanitarie negative ma i controlli dell’Azienda Sanitaria dicono diversamente”.
Se la situazione non dovesse evolversi positivamente, i gestori delle case di riposo, rappresentati dagli avvocati Eleonora Andronico e Roberto Materia, sono pronti a rivolgersi al Tar. (Marco Ipsale)
LE FOTO DI DINO STURIALE SI RIFERISCONO ALLA CASA DI RIPOSO “MIMI'”
E’ proprio quel quarto di secolo che è sotto accusa, quello di cui parla il gestore di una casa di cura che non ha i requisiti previsti dalla Regione siciliana fin dal 2003, in applicazione di leggi precedenti. Quel quarto di secolo fatale alla nostra città, privata di un suo sano sviluppo economico nel pieno rispetto delle regole,quelle che creano una selezione competitiva di qualità fra chi intraprende un’attività d’impresa. Devo necessariamente aggiornare la frase che utilizzo da anni per materializzare il quarto di secolo di TUTTI MURATORI,PROGETTISTI,COSTRUTTORI,TUTTI GESTORI DI CASE DI CURA O DI RIPOSO.Il gestore urla a chiare lettere che non ci sono margini di profitto a fronte di rette basse e di applicazione delle regole, un pò come i costruttori quando giustificano operai edili in nero e applicazione costosa e quindi impossibile delle norme sulla sicurezza.Se non si rispettono le regole,si danneggiano le imprese sane che lo fanno,forse è venuto il momento che da questo settore così delicato escano dilettanti allo sbaraglio,che hanno deresponsabilizzato le famiglie nei confronti del parente più debole.
Ho sentito dire in città che il 90% di queste case di riposo non pagano i dipendenti da moltissimi mesi e già di per sè “sottopagati”. Un controllino del genere non si potrebbe fere con qualche organo “Serio”. Come per le pensioni future che non veranno più elargite, per i prossimi anni gli anziani ritorneranno nelle case di figli e nipoti perchè salvo “imprevisti” queste assegnate sono le ultime pensioni spendibili.