Una compagine da camera di assoluto livello, con Laura Pietrocini al pianoforte, Marco Fiorentini al violino e Valeriano Taddeo al violoncello
Domenica è andato in scena al Palacultura il primo momento celebrativo del 2020 che la Filarmonica Laudamo ha dedicato al 250º anniversario della nascita di Ludwig Van Beethoven, in un concerto intitolato appunto: “Buon Compleanno Ludwig!”.
Protagonista l’Ars Trio di Roma, una compagine da camera di assoluto livello, con Laura Pietrocini al pianoforte, Marco Fiorentini al violino e Valeriano Taddeo al violoncello. Il trio ha presentato un programma ove protagonista assoluta è l’arte della variazione, che nella musica di Beethoven, in particolare quella del suo ultimo periodo compositivo, ha raggiunto vette inarrivabili.
La prima parte del concerto è stata dedicata a due composizioni di non particolare rilievo del repertorio beethoveniano per Trio con pianoforte: le Variazioni in mi bem. magg. op. 44, e le Variazioni in sol min. “Ich bin der Schneider Kakadu” op. 121/a. Le prime costituiscono un’opera giovanile, di poche pretese, ancora di carattere salottiero e non destinata al grande pubblico. Per quanto già si può apprezzare la capacità del musicista tedesco di sottoporre a variazioni un tema, non troppo ispirato per la verità, queste variazioni ancora si mantengono in un ambito convenzionale, prive di quegli autentici e rivoluzionari colpi di genio che caratterizzeranno, ad esempio, le variazioni degli ultimi Quartetti d’archi e delle ultime Sonate per pianoforte. Stesso discorso per le Variazioni in sol min. op. 121/a, una serie di variazioni composte sul tema dell’aria “Ich bin der Schneider Kakadu” (Io sono il sarto Kakadù), tratta dall’operetta di Wenzel Muller “Le sorelle di Praga”. Anche queste sono variazioni di carattere convenzionale, anche se più note ed eseguite delle precedenti, e comunque di gradevole ascolto, ma senza alcun carattere drammatico né innovativo.
Interessante invece la lenta introduzione, più seria ed introspettiva, che segna una netta cesura rispetto alle variazioni che seguono. Sembra incredibile che queste variazioni siano state composte nello stesso periodo delle prodigiose ed avveniristiche Variazioni su un Valzer di Diabelli per pianoforte! Tutt’altro discorso va fatto per il celeberrimo Trio in si bemolle maggiore op.97 “Arciduca”, che ha riempito la seconda parte del concerto. Il più famoso dei Trii di Beethoven, dedicato all’Arciduca Rodolfo d’Asburgo, rappresenta una delle più importanti composizioni beethoveniane in assoluto, da considerarsi forse l’ultimo grande capolavoro del suo c.d. periodo di mezzo, ove già si intravedono, in particolare nell’Andante con variazioni, le profonde innovazioni ed ispirazioni del suo ultimo periodo compositivo. Proprio in questo capolavoro, tuttavia, come riconosciuto quasi pacificamente dalla critica, vi è un enorme difetto, che mina l’equilibrio e l’unità formale del brano, cioè l’ultimo movimento “Allegro moderato” definito da Carli Ballola “il più tipico esempio di Finale sbagliato in tutta l’opera beethoveniana”. Si tratta infatti di una sorta di marcetta di poche pretese, che troppo contrasta con quel momento di estasi commovente costituito dall’Andante cantabile con variazioni, il terzo movimento.
Il celebre incipit del primo movimento – “Allegro moderato” -, tema nobile e così tipicamente beethoveniano, impernia di sé l’intero brano. Molto esteso il secondo movimento, lo “Scherzo”, che per motivi di equilibrio Beethoven antepone insolitamente al movimento lento (lo farà anche nella Nona Sinfonia). Il terzo movimento, “Andante cantabile, ma però con moto – Poco più adagio”, si apre con l’esposizione di un bellissimo tema dal carattere profondo e ispiratissimo, al quale seguono cinque straordinarie variazioni, che costituiscono l’apice della composizione, il “cuore” dell’intero Trio. Il tema viene variato non solo sotto il profilo tematico, ma sotto tutti gli aspetti (timbrico, armonico, nel carattere lento o veloce etc.) come avverrà negli ultimi Quartetti d’archi, e, anche se è sempre difficile tracciare una linea netta fra un periodo compositivo ed un altro successivo di un artista, potremmo forse affermare che l’ultimo Beethoven nasce proprio con queste Variazioni.
Indimenticabile l’ultima, la quinta, che termina con una coda di infinita, commovente, tristezza, prima che attacchi, senza soluzione di continuità, l’incomprensibile Finale di cui si è detto. Ottima la performance dei tre musicisti, che hanno dato vita ad un’interpretazione di grande personalità, enfatizzando i momenti topici di questo straordinario e complesso capolavoro. Un rondò di Jan Nepomuk Hummel, musicista slovacco, contemporaneo di Beethoven, dal carattere brillante, è stato il bis concesso dall’Ars Trio, a conclusione di un concerto certamente di elevato livello artistico.