Enrico Meo, viaggio nell'altrove e ritorno

Enrico Meo, viaggio nell’altrove e ritorno

Laura Giacobbe

Enrico Meo, viaggio nell’altrove e ritorno

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giovedì 01 Dicembre 2016 - 23:08

La mostra dal titolo Opere.2016 è in esposizione presso la Galleria Kalòs fino a oggi

E’ uno stile pittorico molto particolare quello elaborato da Enrico Meo, classe 1943, originario di Grottaglie, formatosi presso l’Istituto d’Arte locale e poi lanciatosi in mezzo alle Avanguardie, sotto la guida di personaggi affermati come Jim Tilson e Roman Opalka.

Dice bene il critico Gianfranco Lambrosciano quando, a proposito di quest’artista, parla di “pluridirezionalità che spiazza e disorienta”. L’inevitabile influsso avanguardistico, evidente fin dalla prima occhiata alle opere, ha generato uno stile composito, nel quale si identificano tracce della Pop Art (di cui Tilson fu una figura leader) , ma anche dell’arte concettuale (intesa come ricerca nell’opera della logica più che del piacere estetico), e ancora del cubismo e del surrealismo. Non mancano, tuttavia, tracce di influssi provenienti da altre epoche, come l’arte bizantina, riconoscibile nei tratti del volto e specialmente gli occhi di certi personaggi, così come nell’uso ricorrente di alcuni colori, tipici del suddetto filone (il rosso, il blu o il verde…), e nella simbologia ad essi collegata. Il significato dei dipinti, tuttavia, è tutt’altro che immediato, così come la collocazione spazio-temporale dei soggetti, confinati in un altrove surreale nel quale non esistono punti di riferimento. Ora circondati da una fitta boscaglia, ora sospesi sulla vetta di un monte, ora immobili al centro del deserto… essi ci appaiono bloccati in un non-luogo che potrebbe essere luogo dell’anima, paesaggio interiore nel quale l’osservatore è furtivamente invitato ad entrare, per comprendere cosa vi si cela. E’ come se l’artista invitasse il non-artista, l’uomo comune, a cambiare prospettiva e a guardare la realtà da un punto di vista nuovo, quello appunto dell’occhio interiore, per scorgere significati prima sconosciuti.

C’è una sorta di mistero inespresso che aleggia sulle opere di Meo, un senso inesplicabile che, come un déjà vu, scatta immediatamente alla vista dei soggetti, ed induce a ricercare, senza trovarlo, un ricordo o un significato negli anfratti dell’anima. Per dirlo ancora con Lambrosciano, è necessario “soggiornare” nell’opera, “trovarvi, per così dire, dimora e sostarvi come in una grotta in religioso raccoglimento fino ad arrivare, se possibile, ad ascoltarla.”

Laura Giacobbe

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