La gioia del dipingere. La pittura ariosa di Demetrio Scopelliti

La gioia del dipingere. La pittura ariosa di Demetrio Scopelliti

Gabriele Blundo Canto

La gioia del dipingere. La pittura ariosa di Demetrio Scopelliti

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sabato 04 Luglio 2015 - 07:13

Un profilo del pittore di origini calabresi Demetrio Scopelliti, ex docente del Liceo Artistico “Basile” di Messina, tra suggestioni mitologiche, sfide compositive e ricerca stilistica.

Non è facile in una città un po’ lamentosa incontrare artisti che esprimano entusiasmo. Alcuni anni fa, in un dialogo con Emanuele Trevi, si rilevava come un discorso sulla felicità sia molto più difficile e inconsueto di un discorso sul dolore. In Italia è andata di moda, crocianamente, “la fatica del concetto”, un motto divenuto talmente trasversale nelle sue versioni da essere appreso in molti ambiti soprattutto nel tono, residuo forse di una certa “coscienza infelice” che ci trasciniamo dietro, molto occidentale ma poco mediterranea, perché il Mediterraneo potrebbe/dovrebbe essere il luogo della luce e della festa.

Ed è questo quel che si trova in Demetrio Scopelliti, l’ariosità, la leggerezza del colore che sa essere in taluni tratti accennato, stemperato, velato, difficilmente aggressivo, seppure abbia avuto dei trascorsi più netti, ma che servivano a definire semplicemente spazi, come delle quinte o delle scene su cui si stagliavano personaggi asimmetrici anche per posizione: quelli che nessuno nota, decentrati per sorte, che l’artista dal suo angolo vede come destinatari privilegiati della sua sympatéia, del suo dissenziente con-sentire. Perché Demetrio è greco, non solo nel nome; magno greco e un po’ bizantino, come la sua Calabria, il cappello di paglia sfilata, i capelli mossi e lunghi come quelli delle statue antiche, di quei luoghi in cui il greco si confondeva pacificamente con il barbaro nemico.

Formatosi al Liceo Artistico, ha assorbito la solidità, l’importanza delle radici classiche, e con esse dialoga, gioca, senza mai tradirle, rispettandole sempre, mantenendole vive come un pentagramma che si esprime nella continuità e varietà dei fregi, delle “greche” quasi onnipresenti. Controcanto a questo, per un secondo periodo, dopo quello che definirei macchiettista o teatrale, sono le immagini o le scritte pop, contrasto netto tra il classico e il commerciale, seppure anche quest’ultimo in taluni casi assuma il suo portato di storia, di icona, come le scritte che si stagliavano sullo Stretto, e che diventavano familiari ai pendolari e ai viaggiatori: il che significa avere coscienza che classico è il riferimento, la struttura, e che questa può essere un postulato altrettanto variabile del portato dell’esperienza. Due elementi quindi, due canti, uno stabile e l’altro a intrecciarsi, come nella musica, un canto e un controcanto quale fu quello di Ulisse e delle Sirene. E in questo c’è ellenismo, c’è un tocco manierista, ma del manierismo più bello, c’è Bisanzio. Avere i modelli e giocarci nel confronto ironico con il presente, con quella consapevolezza: non si può fare altrimenti. Questo non significa distruggere né decostruire, ma avere la visione dell’insieme, per quanto asimmetrico, per quante lontananze ci siano: e tra esse, tra le due rive, aria e colore, e insomma luce. Ed è quel bianco che strafora, che si mescola, che lava: è acqua, acqua usata in abbondanza fino a rendere tutti gli usi possibili della pittura, come un intonaco che il tempo logora e fa fiorire e sfiorire, come un oggetto perso nel mare che serba in sé croste saline, resti di vita organica e di materia inorganica, insomma storia, ma il modo della storia che è delle nostre parti: vita che scolora e trascolora, ed emana ancora luce. Dipingere questo è di certo una bella sfida. Ed è questo oggi il senso della ricerca di Scopelliti.

Mi è piaciuto visitare il suo studio, sotto la rupe di via Acqua del Conte, una scalinata su cui Demetrio balza spedito, un ingresso colmo di piante, e i quadri ovunque immersi nella luce, in un posto di vedetta alto sullo Stretto. Dopo anni di insegnamento al Liceo Basile, in cui ha fatto non solo scuola ma anche il promoter di mostre e di incontri, Demetrio lascia le aule, ma non l’ampia sonora aula luminosa dello Stretto, e di certo c’è da aspettarsi altro, perché è riccio: perché è greco.

Gabriele Blundo Canto

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