Il medico messinese Carmelo Micalizzi ha presentato presso la sede della Comunità ellenica una suggestiva proposta per l’attribuzione e la datazione del capolavoro di Antonello
Una locandina da appendere alle pareti dello studio, un numero che balza agli occhi con inusitato stupore, l’impressione di poter dare un contributo sostanziale agli studi della storia dell’arte rinascimentale. Inizia per un caso fortuito la suggestiva ricostruzione attributiva del medico messinese Carmelo Micalizzi, con il ritrovamento del manifesto realizzato da Taormina Arte in occasione dell’esposizione del 1981 al Museo Regionale di Messina del “San Girolamo nello studio” di Antonello, capolavoro dell’arte italiana in grado di coniugare le autoctone sperimentazioni prospettiche con la ricchezza del dettaglio tipica dei fiamminghi.
Un gioco di specchi con una data (“IX 1474”) che sembrerebbe emergere dall’ingrandimento del pavimento, con la scritta “MISSINA” e la firma dello stesso autore su una nuova piastrella in prossimità della coda del pavone nel limen. L’opera di minuscole dimensioni (45,7×36,2 cm), tra i capolavori italiani ospitati dalla National Gallery di Londra, ha scontato per secoli dilemmi per una definitiva attribuzione: il lavoro di Micalizzi, in questo senso, escluderebbe ricostruzioni più fantasiose, aggiungendo la realizzazione in terra siciliana nel novero delle informazioni in possesso degli studiosi. “Un’opera magica ricca di una simbologia ancora da decriptare – ha dichiarato Micalizzi durante la conferenza ospitata nella sede della Comunità ellenica – porgo agli specialisti un’umile proposta, non ho le competenze per addentrarmi oltre in un discorso simile”. Il “San Girolamo nello studio”, secondo Micalizzi, avrebbe avuto la funzione di “biglietto da visita” di Antonello durante il suo secondo soggiorno veneziano: “Il genio messinese ha probabilmente iniziato in riva allo Stretto la realizzazione di questo capolavoro, recandolo con sé in un secondo momento in Veneto”. Considerazioni numerologiche a parte, i dubbi restano legati ad una suggestione negli occhi dello spettatore: data e firma, infatti, sono visibili solo specularmente ed ingigantendo le immagini in questione. Antonello avrebbe dunque celato queste informazioni nello spazio di pochi millimetri secondo un processo simile alle tecniche di Leonardo da Vinci: modalità improbabili per una presentazione presso nuovi e ricchi committenti. “Ho elaborato gli ingrandimenti attraverso delle immagini recuperate sulla rete – ha proseguito Micalizzi – trovo inconcepibile come in tutti questi secoli nessuno abbia mai rilevato una realtà che mi è fin da subito sembrata chiara ed evidente. Lascio questa mia intuizione agli studiosi: dovessero essere confermate le mie ipotesi, credo sarebbe opportuno ricondurre in esposizione a Messina questo capolavoro dell’arte quattrocentesca”.
Gioco di specchi o suggestione, questo il nodo da sciogliere dopo le affermazioni del medico messinese. Dalla semplice pareidolia alla complessa chiave di un codice segreto il cammino verso una svolta definitiva appare più che accidentato. Lecito azzardare un’ipotesi: la risposta, ora, spetta ad altri.
Domenico Colosi