Bach is in the Air, eteree divagazioni

Bach is in the Air, eteree divagazioni

Giovanni Francio

Bach is in the Air, eteree divagazioni

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domenica 03 Dicembre 2017 - 06:10

Applaudito concerto al Palacultura per i pianisti Danilo Rea e Ramin Bahrami

Libere improvvisazioni jazzistiche di Danilo Rea, su un tema che a poco a poco viene reso riconoscibile, la meravigliosa Aria dalle “Variazioni Goldberg”, subito dopo eseguita da Ramin Bahrami, hanno dato inizio a questa singolare performance, chiarendo immediatamente il significato del titolo assegnato al concerto e al cd recentemente inciso dai due pianisti: Bach is in the air.

Domenica scorsa, presso il Palacultura, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, ha avuto luogo la attesa esibizione di questi talentuosi artisti, il pianista iraniano Ramin Bahrami, ad oggi uno dei più grandi interpreti della musica di Bach – non per niente allievo dell’indimenticabile Rosalyn Tureck – e Danilo Rea, pianista jazz di fama internazionale. Una sorta di esperimento che ha visto protagonista assoluta la musica di Bach, eseguita rigorosamente, ma con quella peculiarità interpretativa che lo contraddistingue, da Bahrami, in simbiosi con improvvisazioni jazz eseguite contemporaneamente da Rea, ad accompagnare le composizioni del più grande fra i musicisti dell’epoca barocca. Il programma di sala non è stato rispettato né per quanto riguarda l’ordine dei brani presentati, né per quanto riguarda gli stessi brani indicati, molti dei quali non sono stati eseguiti mentre ne sono stati offerti altri. In particolare, non previsti in programma, sono stati eseguiti, tra l’altro, in questa particolare versione classica/jazzistica, il celebre Corale dalla Cantata BWV 147, la delicatissima “Invenzione a tre voci” n. 11, il primo (e più famoso) dei piccoli preludi di Anna Magdalena Bach. Al posto del Preludio n. 1 dal primo volume del “Clavicembalo ben temperato” è stata eseguita una sorta di fantasia sui Preludi n. 1 e 2, ma proprio l’ascolto del primo preludio – prima parte di questa fantasia – ha messo in luce tutte le criticità di un esperimento di tal genere. Infatti la purezza di quella (non) melodia bachiana, un dolcissimo susseguirsi di accordi sciolti, che tanto seguito ha avuto nella storia della musica – si pensi all’Ave Maria di Gounod, in pratica un canto su gli accordi di Bach, o il primo Studio dall’op. 10 di Chopin, chiaramente ispirato a questo preludio – è stata compromessa dalla contaminazione jazzistica delle improvvisazioni di Rea, che ai più puristi saranno sembrate quasi un disturbo.

Questo insieme dei due preludi, uno calmo in do maggiore, l’altro impetuoso nell’omonima tonalità minore, ha assunto nell’interpretazione dei due artisti una connotazione fortemente drammatica, tuttavia ha perso quella essenziale spiritualità propria del grande Bach. Ciò che è apparso evidente relativamente a questo brano si può affermare in buona sostanza per tutti gli altri, per cui il concerto, tra l’altro molto breve, poco più di un ora, che pure ha visto entusiasmare il numerosissimo pubblico, non ha convinto, è apparso un esperimento non del tutto riuscito, di cui probabilmente non se ne sentiva la mancanza. L’entusiasmo degli spettatori è stato determinato dalla indubbia bravura dei due pianisti, ognuno nel proprio genere, anche se il pianista iraniano, a causa del repertorio eseguito, forse ha avuto più occasioni di sfoggiare la sua notevole perizia tecnica e capacità interpretativa, personalissima ma sempre nel solco della tradizione dei grandi interpreti di Bach.

Il brano che forse è apparso più riuscito in questo esperimento è stato la “Siciliana”, il secondo movimento dalla sonata per flauto e cembalo BWV 1031, una malinconica melodia in tonalità minore – come tutte le siciliane, antiche danze che hanno avuto origine probabilmente in Sicilia – brano che, in onore della nostra terra, è stato anche eseguito come bis.

Giovanni Franciò

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