Romanticismo musicale, la seducente narrazione di Pierluigi Camicia

Romanticismo musicale, la seducente narrazione di Pierluigi Camicia

Giovanni Francio

Romanticismo musicale, la seducente narrazione di Pierluigi Camicia

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martedì 07 Febbraio 2017 - 07:45

La storia del pianoforte nell'800 raccontata da Pierluigi Camicia nell'intenso concerto del Palacultura

Ancora un pianista di ottimo livello per la stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica, in unione con l’Associazione Bellini, che quest’anno ha visto come principali protagonisti proprio i pianisti solisti: sabato 4 febbraio, si è esibito al Palacultura Pierluigi Camicia, nell’ambito dei concerti dedicati al Romanticismo musicale: Progetto Chopin.

Camicia ha eseguito un programma musicale che copre tutto l’arco dell’800. Il concerto ha avuto inizio con l’esecuzione di una delle sonate più celebri di Ludwig Van Beethoven, la n. 8 in Do Minore, op. 13 Pathétique, nei movimenti: Grave, Allegro di molto e con brio, Adagio cantabile, Rondò: Allegro. La sonata, dedicata al principe Karl Von Lichnowsky, fu inviata da Beethoven anche a quello che rappresentò il grande amore della sua vita, Josephine Brunsvik, a riprova che il grande musicista trasferì nella sonata tutta la sua passione. L’appellativo Patetica è dello stesso Beethoven, ma il significato del termine non corrisponde a quello odierno, che assume quasi una connotazione negativa, ma deriva letteralmente da pathos, cioè sentimento, passione. Capolavoro emblematico dello Sturm und Drang, la sua impetuosa drammaticità si manifesta immediatamente nel Grave iniziale, un tema sinistro che rimane impresso nella memoria e che prelude all’inquieto allegro del primo movimento; il celeberrimo adagio, è uno dei brani di più elevata nobiltà d’animo regalatoci da Beethoven, fra quelli che rimangono impressi per sempre nella memoria, e rappresenta il momento culminante della Patetica, vero archetipo del romanticismo musicale tedesco; il rondò finale, per quanto ben costruito e di carattere anch’esso drammatico, non raggiunge però le vette toccate dai primi due movimenti. Molto sentita l’esecuzione di Camicia, con una felice ed equilibrata scelta dei tempi, molto apprezzata dal numeroso pubblico presente in sala. Alla Patetica ha fatto seguito l’esecuzione dei 16 valzer op. 39 di Johannes Brahms. Si tratta di brevi piccoli gioielli, originariamente composti per pianoforte a quattro mani, ma trascritti dallo stesso autore, con lo stesso numero d’opera, per pianoforte solo, visto lo strepitoso successo che i valzer riscossero all’epoca. Brani semplici per forma e melodia, tuttavia ricchi di sfumature, ed espressione di ogni tipo di sentimento brahmsiano, dalla gioia spensierata alla dolce malinconia. Si ispirano non solo al valzer propriamente detto ma anche ad altre danze, come il Landler tedesco, e sicuramente rappresentano un omaggio a Vienna. Sebbene tutti assai diversi tra di loro, nell’insieme manifestano una certa unitarietà, messa in particolare evidenza dal pianista, che ha suonato tutti d’un fiato i sedici valzer, quasi senza pause fra l’uno e l’altro, e per lo più omettendo le ripetizioni delle seconde parti, anche probabilmente per non rendere troppo lungo il programma. Tale scelta tuttavia ha in parte nuociuto all’esecuzione, che, se pur corretta e brillante, talora è sembrata troppo frettolosa, in particolare per quanto riguarda il valzer n 15, il più famoso, un po’ sacrificato e privato di quel rilievo che di solito gli viene concesso. La prima parte del concerto si è conclusa con Dumka op. 59 (Scene da un villaggio russo), un brano a carattere fra il meditativo e il folcloristico di Tchaikovsky. La seconda parte della serata è stata dedicata alle quattro Ballate di Fryderyk Chopin, quattro capolavori assoluti nella storia della letteratura pianistica. Sono brani caratterizzati da molti elementi in comune, che insieme costituiscono un nuovo genus musicale (la Ballata), praticamente inventato da Chopin. Troviamo infatti nelle Ballate l’alternarsi di temi dolci e malinconici ad altri violenti e appassionati, in tutte la scrittura pianistica è complessa ed elaborata, racconti densi di pathos, a volte quasi selvaggi, ma anche dolcissimi, che annoverano temi fra i più belli e famosi usciti dalla penna del polacco; tutte le ballate infine si concludono con una coda tumultuosa e drammatica. In particolare la prima in Sol minore op. 23, famosissima, ha una parte centrale che, secondo Belotti, “è una delle concezioni più sublimi di Chopin”. Per gli appassionati di cinema, è il brano suonato dal Pianista davanti al generale nazista, in una delle scene memorabili dell’omonimo film di Roman Polanski. La seconda op. 38 in Fa maggiore, uno dei brani prediletti dallo stesso Chopin, e dedicato all’amico Schumann, offre straordinarie arditezze armoniche per l’epoca. La terza, op. 47 in La bem. maggiore, deliziosamente cantabile, della quale fu scritto in una recensione dell’epoca “è poesia tradotta – superlativamente tradotta – in suoni”. Infine la quarta, op. 52 in Fa minore, immenso capolavoro, armonicamente ricchissima ma anche commovente, ancora con Belotti: “Nessun’altra sua opera ha raggiunto un grado così elevato e così intenso di estasi lirica”.

Notevole l’interpretazione, di Pierluigi Camicia – che ha eseguito le Ballate senza interruzioni, come un unico grande poema. Esecuzione intensa, personale, equilibrata nel realizzare il “Rubato” chopiniano, che ha riscosso notevole successo, tanto che il pianista è stato “costretto” a due bis, nonostante il già lungo ed impegnativo programma.

Giovanni Franciò

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