L’attore, e ormai romanziere, ha letteralmente incantato il pubblico presente
Un centinaio abbondante di persone ha seguito la presentazione di Ogni ricordo un fiore, romanzo d’esordio dell’attore Luigi Lo Cascio, che si è svolta ieri presso La Feltrinelli Point. Numeri che spesso chi organizza questo genere di eventi, soprattutto nella nostra città, può solo sognare. Fa naturalmente piacere vedere una libreria piena, ma al contempo non si può non pensare a quelle presentazioni che sono andate praticamente deserte. Interrogandosi su una tale disparità, si potrebbe dire che oggi si pubblica – e di conseguenza, si presenta – troppo, e che l’utente medio non ha voglia di sentire parlare di opere magari autofinanziate, a cui nemmeno i relativi editori hanno creduto. Ci sarebbe del vero, come, però, è anche vero che personalmente ho assistito a presentazioni di opere di autori di indubbio valore in cui a stento raggiungevamo la dozzina. Per fare un esempio, non molto tempo fa, in occasione di un incontro con Lia Levi, scrittrice sensibile e memoria storica delle discriminazioni razziali perpetrate nel nostro Paese durante il fascismo – per i più impressionabili dai premi, vincitrice del Premio Elsa Morante, del Premio Grinzane Cavour, del Premio Moravia, del Premio Rapallo e di numerosi altri, oltre che inserita nella cinquina dei finalisti dello Strega 2018 – faticammo a superare le dieci unità. Viene da pensare che il problema fosse l’assenza di Lia Levi dal grande e dal piccolo schermo, per non parlare dei social, con la conseguenza, parafrasando la famosa canzone di Ron, che il suo nome non si fa ricordare.
Sia chiaro che questo discorso introduttivo non va contro Luigi Lo Cascio, che deve la propria fama alla fortuna del talento e al merito di averlo coltivato con impegno. Preme solo sottolineare come tanti altri incontri possono rivelarsi piacevoli e ricchi di spunti di riflessione come quello dedicato alla presentazione di Ogni ricordo un fiore.
L’evento è stato organizzato dalla libreria stessa e dall’associazione “Carà Beltà”, e rientra nella rassegna “100 Sicilie”, il cui direttore artistico ha introdotto i protagonisti. A dialogare con Lo Cascio, il giornalista Franco Cicero, che dopo aver avvertito il pubblico sull’impossibilità di non accennare al Lo Cascio attore, si è forse dilungato un po’ troppo sul punto, per poi concentrarsi sul romanzo: “Nel libro funziona tutto” ha affermato Cicero, “senza svelare troppo, possiamo dire che nelle due pagine finali comprendiamo il perché del titolo e scopriamo che tutto torna”.
Il pubblico ha dovuto aspettare quasi venti minuti prima che Luigi Lo Cascio prendesse la parola, ma quando questo è accaduto, l’attore ha subito catturato tutti i presenti. Ha iniziato raccontando del proprio rapporto con la fama – “non sono così noto al grande pubblico, sul tram, ad esempio, non mi riconoscono in molti, ed è divertente vederli parlottare di me dopo che si sono ricordati di avermi già visto sullo schermo” – e della giovinezza condizionata dal problema dell’altezza – “non avevo rapporti con nessuno dei due sessi, perché ero così basso che non rientravo nel loro campo visivo”.
Dopo aver suscitato diverse risate, Lo Cascio si è fatto più serio: “Ho iniziato a leggere tardi, quando ho iniziato a frequentare l’accademia d’arte drammatica. Pensate che quando mi sono trasferito da Palermo a Roma avevo solo due libri, 1984 e Il Gattopardo, e probabilmente non li avevo neanche letti. Nel periodo dell’accademia ho scoperto la magia di leggere per me, una cosa completamente diversa da quando, a scuola, studiavo in vista delle interrogazioni. La lettura dell’attore è particolare, perché tende all’interpretazione, e io ho iniziato a scrivere in maniera quasi contemporanea. Credo che per me sia stato un modo per rispondere ai grandi testi che leggevo. Mi stupisce quando mi chiedono perché un attore scriva; per me, l’enigma è perché non siano tutti gli attori a scrivere. Del resto, se c’è un mondo in cui si vive in mezzo alle storie e alla recitazione, è quello della recitazione”.
L’autore è poi tornato sul rapporto con i classici: “Non si può riscrivere interamente opere come l’Otello o Le Baccanti, sarebbe come distruggerle, però basta prendere un capello da questi capolavori, appena una frase o un concetto, per tirarci fuori un mondo”.
Ogni ricordo un fiore racconta di un viaggio in treno, e di un aspirante scrittore che non riesce a andare oltre a tanti incipit, e impossibile non parlare proprio di questo: “Desiderando passare dalla scrittura teatrale a una produzione letteraria più intima, ho iniziato a raccogliere incipit in vari modi, leggendo il giornale, ascoltando aneddoti che mi venivano raccontati, pensando ai fatti curiosi che mi capitavano, e arrivato a sessanta (sui duecentoventi contenuti nell’opera) ho sentito che il libro poteva davvero nascere. Ho avuto l’intuizione che servisse un personaggio come me, che non sapesse cosa fare di tanti incipit”.
Gli incipit in questione sono quasi tutti brevissimi, di una frase, ma non sempre seguono il modello lineare soggetto-verbo-complemento terminando con il punto: “Ho molto a cuore le subordinate e le coordinate, paratassi e ipotassi, il punto e virgola e i due punti” ha spiegato Lo Cascio, “e mi fa molto piacere che, leggendo questo romanzo, soprattutto gli insegnati abbiano sottolineato la mia attenzione alla sintassi”.
Luigi Lo Cascio ha poi parlato della scelta del nome del protagonista, Paride Bruno, e del titolo – un racconto troppo lungo per essere riportato integralmente e troppo strutturato per essere riassunto -, per poi spaziare sul suo amore per la letteratura greca, sul fascino dei viaggi – “Una volta servivano tredici ore per arrivare dalla Sicilia a Roma col treno, oggi la situazione è molto migliorata… ne servono solo dodici, un netto progresso” -, sull’inizio della sua carriera cinematografica, ricordando I cento passi e lo zio Luigi Maria Burruano, a sua volta noto attore, scomparso nel settembre del 2017.
Particolarmente coinvolgenti, come si può immaginare, le letture effettuate dall’attore che, come ha ricordato Franco Cicero, oltre al David di Donatello per I cento passi, Il nastro d’argento per La meglio gioventù (vinto insieme a Fabrizio Gifuni, Alessio Boni e Andrea Tidona ed ex aequo con Roberto Herlitzka) e la Coppa Volpi per Luce dei miei occhi, ha anche vinto in due occasioni il Premio UBU, considerato il più importante riconoscimento teatrale italiano, grazie a Nella tana, da lui stesso riscritto da un racconto di Kafka e diretto, nel 2005 e a Il silenzio dei comunisti l’anno successivo.