Cade l'accusa di falso per i semplici dipendenti, che escono dall'inchiesta, mentre vanno a processo a partire dal prossimo 18 ottobre tutti i dirigenti del CAS accusati di peculato e falso per gli incentivi progettuali autoliquidati a fronte di lavori a volte non eseguiti. Il Consorzio Autostrade sarà parte civile.
Comincerà in autunno il processo per i dipendenti del Cas finiti nel mirino della Procura per gli incentivi progettuali incassati a fronte di progetti, secondo i magistrati, inesistenti o inconsistenti. Il giudice per l’udienza preliminare Maria Militello ieri ha rinviato a giudizio tutti gli imputati ai quali veniva contestato il peculato, mentre ha disposto il rinvio a giudizio per i soli dirigenti accusati anche di falso ideologico, mentre ha disposto il non doversi procedere per gli altri dipendenti che dirigenti non sono, per i quali era stato inizialmente ipotizzato il reato di falso.
Insomma rispetto ai 52 indagati per i quali la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio, il GUP ha effettuato una scrematura mandando a processo i dirigenti, i rup e quelli che avevano intascato incentivi più alti, a fronte a volte di progetti mai partiti e quindi anche di lavori mai liquidati alle imprese. Mentre escono dal processo i “pesci piccoli”, i semplici dipendenti o quelli che erano stati annoverati nei progetti “a loro insaputa”. Meno di una quarantina, quindi, le persone per le quali si aprirà il processo, a partire dal prossimo 18 ottobre. Per tutti il sostituto procuratore Stefania La Rosa, titolare dell’inchiesta, aveva sollecitato il processo. Il Consorzio Autostrade sarà parte civile al processo.
Gli accertamenti della Direzione Investigativa Antimafia sfociarono, nell'aprile 2017, nella sospensione delle funzioni per sei dipendenti e il sequestro ad altri sei ex dirigenti, non sospesi perché nel frattempo erano andati in pensione o erano tornati nelle loro amministrazioni d'origine.
La sospensione dall’esercizio pubblico, per la durata di 6 mesi, era scattata per il sindaco di Montagnareale Anna Sidoti, per Antonio Lanteri, per Stefano Magnisi, per Angelo Puccia, per Gaspare Sceusa e per Alfonso Schipisi. Maxisequestro di beni, invece – quasi un milione di euro complessivamente – per il palermitano Carmelo Cigno, per il dirigente Letterio Frisone, per Carmelo Indaimo, per Antonino Francesco Spitaleri, per Antonino Liddino e per il siracusano Corrado Magro.
Già nel 2014 gli investigatori avevano passato al vaglio numerosi bandi e gare di appalto risultate “anomale”. In particolare, secondo le accuse, i vari funzionari e dipendenti del CAS travolti dai provvedimenti di oggi si sarebbero intascati ingenti somme di denaro pubblico sfruttando il sistema degli incentivi.
Gli investigatori, attraverso intercettazioni ambientali, sono riusciti a dimostrare che gli indagati usavano intascarsi soldi pubblici per la presentazione di progetti che, di fatto, esistevano solo sulla carta. Questi incentivi venivano quindi presi e poi divisi a tavolino tra un cerchio ristretto di dirigenti e dipendenti. Talvolta i progetti neanche esistevano, talvolta invece esistevano ma non venivano neanche portati a termine.
“Un sistema collaudato”, quello messo in atto da alcuni dirigenti che potevano sfruttare anche il loro ruolo di RUP -Responsabile Unico del Provvedimento. “Secondo la normativa vigente – aveva spiegato il capo della DIA Renato Panvino – il Cas dispone di grosse somme di denaro da destinare all’elaborazione e all’esecuzione di lavori per la rete autostradale siciliana. Questi incentivi servono per il pagamento di alcune figure professionali specifiche nonché per alcuni dipendenti che mettono in campo competenze inerenti ai progetti.
In pratica, gli indagati di oggi utilizzavano il sistema degli incentivi per sottrarre i soldi e poi dividerli tra loro o tra una cerchia ristrettissima”.
Circa un milione 300 mila euro l'ammontare illecitamente incassato dai dipendenti, tra il 2012 e il 2013.
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