Chiusa l'inchiesta palermitana sui falsi incidenti della banda che mutilava le vittime, tra loro ci sono anche messinesi
Ci sono anche messinesi rimasti invischiati nell’operazione Spaccaossa, l’inchiesta della Procura di Palermo su un giro di falsi incidenti gestiti da soggetti che non si facevano scrupoli persino a mutilare gli arti ad “attori” compiacenti che in cambio di pochi euro si rendevano disponibili a simulare sinistri mai avvenuti.
L’indagine aveva portato all’arresto a Messina del sessantaquattrenne Orazio Falliti, di Camaro, ancora dietro le sbarre del carcere di Gazzi dall’aprile scorso.
Adesso la Procura del capoluogo siciliano ha terminato gli accertamenti di almeno un filone di inchiesta – il calderone complessivo conta infatti tre indagini distinte, condotte parte dalla Polizia e parte dalla Guardia di Finanza, ed ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari a 48 persone, accusate a vario titolo di associazione finalizzata alle truffe assicurative, lesioni e altri reati.
Il sessantaquattrenne messinese sta ora valutando, insieme ai difensori, gli avvocati Franco Rosso e Dario Restuccia, se farsi interrogare dal giudice che coordina il caso o se attendere i prossimi passaggi degli inquirenti.
A tirare in ballo il messinese, nella sconcertante inchiesta palermitana, sono state le intercettazioni telefoniche. Proprio ascoltando le sue conversazioni gli inquirenti palermitano hanno poi individuato gli altri messinesi reclutati da Falliti con la complicità di altri soggetti, disposti a farsi mutilare in cambio di denaro.
Il sessantaquattrenne, da quel che emerge dalle indagini, sembra proprio aver il ruolo di procacciatore di vittime. A svelarlo sono state alcune telefonate captate nel 2018 tra un esponente dell’organizzazione palermitana ed il messinese, captate nel 2018, in cui Falliti parla di alcuni di questi soggetti individuati a Messina, come “un parcheggiatore che lavora vicino l’autostrada” che avrebbe convinto a “farsi fare il lavoro”.